«Di Migliacci-Modugno, Nel blu dipinto di blu, canta Domenico Modugno». Rispetto a Gianni Agus, che nel 1958 presentò l’ottava edizione del Festival di Sanremo, Amadeus non può essere così sbrigativo. Ascoltatelo quando annuncia la canzone di Achille Lauro: «Di De Marinis, Manzari, Petrella, Ciceroni, Cutolo, Calculli, Manzari, Domenica, canta…». E non è l’unico caso. Gran parte dei brani in gara a Sanremo2022 porta quattro, cinque, fino a nove firme. «Io lo chiamo il “condominio degli autori”», ride amaro Pippo Rinaldi, in arte Kaballà, il “paroliere” etneo che offre la sua incessante ricerca dell’insolito espressivo ad altre voci, che nel tempo sono state quelle di Mario Venuti, Nina Zilli, Alessandra Amoroso, Carmen Consoli, Noemi, Anna Oxa, Eros Ramazzotti, Mietta, Placido Domingo, Tony Canto, Alex Britti, Antonella Ruggiero, Robbie Williams.

«Il “condominio degli autori” fa male alla musica», continua Kaballà. «Io non sono contrario alle collaborazioni. Tutt’altro. A volte scrivere a quattro, sei, otto mani è una bella esperienza, favorisce uno scambio di idee. Anch’io formo una squadra con Mario Venuti, come Mogol faceva con Battisti. Ma questa è una vera e propria lobby, dietro la quale ci sono autori, editori, producer. Uno mette una sequenza, un altro l’armonia, poi si inseriscono le parole, l’editore ci aggiunge qualcosa di suo, a volte interviene anche l’artista, infine l’arrangiamento. Tutto per spartirsi le briciole dello streaming».

«Sanremo è diventato una sorta di Festivalbar»

C’è un team nel festival di Amadeus che fa capo alla Universal Music Publishing Italy ed al quale appartengono gran parte degli autori dei brani in gara. C’è per esempio Mahmood che co-firma due canzoni: la sua (in cooperazione con Blanco e Michele Zocca, alias, Michelangelo) e quella di Noemi. Due anche per Stefano Tognini, meglio conosciuto come il Producer Zef che ha collaborato alla stesura di Duecentomila ore Ana Mena e Farfalle di Sangiovanni. Due brani anche per Francesco “Katoo” Catitti, Inverno dei fiori di Michele Bravi e Insuperabile di Rkomi.

Ci sono due autori che scrivono quattro brani a testa: Davide Petrella, anche noto come il cantautore Tropico, che co-firma i pezzi di Emma, Elisa, Achille Lauro e Giusy Ferreri; Alessandro La Cava co-autore dei brani di Noemi, Sangiovanni, Matteo Romano e Rkomi. Tre brani sono invece firmati da Dardust e da Federica Abbate: il primo mette il suo nome nelle canzoni di Matteo Romano, Noemi ed Emma; la seconda in quelli di Ana Mena, Giusy Ferreri e Michele Bravi.

Pippo “Kaballà” Rinaldi

Ci sono due autori che scrivono quattro brani a testa: Davide Petrella, anche noto come il cantautore Tropico, che co-firma i pezzi di Emma, Elisa, Achille Lauro e Giusy Ferreri; Alessandro La Cava, producer ventenne co-autore dei brani di Noemi, Sangiovanni, Matteo Romano e Rkomi. Tre brani sono invece firmati da Dardust e da Federica Abbate: il primo mette il suo nome nelle canzoni di Matteo Romano, Noemi ed Emma; la seconda in quelli di Ana Mena, Giusy Ferreri e Michele Bravi.

«Nessuno sa scrivere», sbotta Rinaldi. «Non c’è un Paul McCartney che scrive Yesterday e poi un George Martin che lo produce. C’è un appiattimento totale. Si scopiazza…». Rkomi i Depeche Mode, Elisa ricorda I Believe I Can Fly di R. Kelly. «E Petrella sarebbe il nuovo Mogol?» domanda l’autore di Petra lavica. «Hai letto il testo della canzone di Elisa? “Mi basterebbe un solo sguardo per immaginare il mare blu…”. Poi lei lo rende bellissimo. Ci volevano quattro autori per scrivere una canzone da balera quale quella di Ana Mena? Gianni Morandi aggiorna Fatti mandare dalla mamma…».

L’effetto del “condominio degli autori” è l’omologazione. Molte canzoni si assomigliano. Si rincorre il modello vincente. Matteo Romano sembra un piccolo Mahmood, Noemi cerca la scia dell’autore di Soldi. «Non capisco la direzione artistica, forse condizionata dall’industria discografica e dai meccanismi dello show-business», commenta Kaballà. «Si sta raschiando il fondo e questo non fa bene alla musica popolare. Sanremo è diventato una sorta di Festivalbar, c’è lo stesso sistema di selezione delle canzoni. Prima al Festival c’erano tanti autori che si fronteggiavano. Eravamo come tanti chef in concorrenza che presentavano una pietanza diversa. Oggi è la stessa minestra, riscaldata e con qualche ingrediente in più».

«Se Achille Lauro fa per la terza volta una versione uguale di “Rolls Royce” allora vuol dire che mi sta prendendo per il culo. Ma lui ti risponde “Io performo”»

Pippo Rinaldi denuncia l’esistenza di una sorta di Grande Fratello della musica. «Trenta autori che gestiscono il Festival e i talent show», rivela. «Una volta si facevano delle session di scrittura in cerca di nuovi autori. Oggi quelle session sono diventate catene di montaggio. Escono canzoni fatte in catene di montaggio, ma la Fiat 500 non è la Pininfarina. Dardust avvita un bullone, Petrella ci mette un tergicristallo, Abbate una ruota, Kaballà lo sterzo. Ogni auto è uguale all’altra e le fuoriserie le disegna Giugiaro».

Perché accade questo?
«Motivi economici? Non lo so. Incompetenza? Malafede? Non ho una risposta. Gli artisti o entrano in questo gioco perverso o sono fuori. Le canzoni di altri autori vengono bocciate, non vengono neanche ascoltate. C’è una rincorsa verso il basso. Fa bene Carmen Consoli che fa le cose sue, senza lasciarsi condizionare».

Forse oggi si punta più sul look che sulla canzone, si vuole stupire piuttosto che emozionare.
«Se Achille Lauro fa per la terza volta una versione uguale di Rolls Royce allora vuol dire che mi sta prendendo per il culo. Ma lui ti risponde: “Io performo”».

Sono molti oggi che preferiscono definirsi performer piuttosto che artisti o cantautori.
«Anche i punk o Iggy Pop volevano stupire e puntavano sulla performance, però avevano le canzoni. Oggi si attaccano solo al look. Io non sono un conservatore, non pretendo giacca e cravatta, queste trasgressioni le hanno fatte gente come Freddie Mercury o David Bowie: le loro canzoni sono pietre miliari».

Può avere una influenza il contenitore: molti cantanti vivono soltanto sui social o in televisione.
«Deve andare tutto lì: Tik Tok, Spotify, YouTube, Sanremo. D’altronde assistiamo alla sparizione pressoché totale del supporto fisico».

Sanremo specchio del Paese?
«In musica come in politica dilaga il dilettantismo. Signori senza merito che devono eleggere la massima carica dello Stato… Mi hanno fatto rimpiangere De Mita, la Democrazia Cristiana. È un decadimento generalizzato, in tutti i settori, dalla politica al giornalismo alla musica. Sono fenomeni di breve durata: gli autori di moda presto spariscono. E, quando parte, il cambio generazionale travolge tutti. Resistono ancora Pacifico e Cheope, poi tutto il resto è stato spazzato via. E fra due anni anche gli autori in voga oggi non ci saranno più».

Insomma, l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare. Ma Rinaldi non è Bartali. Qualcosa la salva. «Brividi di Mahmood e Blanco è un buon pezzo. Mahmood è uno che sa scrivere, scompone il testo con una sua originalità». Promuove con riserva La Rappresentante di Lista: «Ciao Ciao è bella, sarà un tormentone. Peccato il ritornello “con le gambe, con il culo, coi miei occhi”, che non mi sembra troppo nuovo. Come Donatella Rettore e Ditonellapiaga perché quel “Chi-chi-chimica”? Mi piace Abbi cura di te di Highsnob & Hu, ha un senso, è un pop moderno».

Si può sperare nel ritorno di canzoni-fuoriserie?
«La musica è morta! Se questa è musica, noi facciamo altre cose. Facciamo i carpentieri!… Eppure, i buoni autori ci sono, sono tanti e sono giovani, basterebbe prestare loro più attenzione».


Articolo aggiornato il 9/02/2022

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