La forza di una donna che seminava speranza: Ester Pantano fa rivivere Francesca Morvillo
Si intitola “Francesca e Giovanni. Una storia d’amore e di mafia” la pellicola che vede l’attrice catanese vestire i panni della magistrata uccisa da Cosa Nostra nella strage di Capaci. Una figura straordinaria, spesso associata soltanto alla sua relazione con Falcone, che si batté per i giovani di Palermo come sostituta procuratrice del Tribunale per i Minorenni. «Trasmetteva a quei ragazzi l’idea che potevano tramutare la loro origine, la loro cultura in bellezza, che potevano sceglierla. Aveva capito che c’è un bilanciamento necessario da creare e che se c’è un’ombra forte e poca luce, la luce ha bisogno di essere potenziata per essere portata laddove c’è più ombra»
«Per me Francesca Morvillo è una luce calda, un’anima e un corpo proteso verso l’altro, con un grande abbraccio verso ciò che la circonda e la volontà di dare una possibilità di scelta ai giovani che non l’hanno avuta». Questa stessa luce accende gli occhi di Ester Pantano, mentre parla della magistrata palermitana che interpreta nel film “Francesca e Giovanni. Una storia d’amore e di mafia”, dal 15 maggio in sala per la regia di Simona Izzo e Ricky Tognazzi. Tra i vari incarichi ricoperti, prima di essere uccisa dalla mafia nella strage di Capaci insieme al marito Giovanni Falcone (nel film è Primo Reggiani), Morvillo era stata anche sostituta procuratrice presso il Tribunale per i Minorenni di Palermo. E qui – racconta l’attrice catanese – lavorava anche «per permettere ai ragazzi di non odiare le proprie origini, ma di comprendere che oltre all’eredità con i paraocchi dei loro padri, avrebbero potuto avere un raggio maggiore di visione del mondo e quindi di scelta. Questo era il suo regalo: la possibilità di ampliare lo sguardo e scegliere un’altra strada rispetto a quella imposta dal loro contesto di nascita. “Adesso sta a te” era il senso del suo insegnamento».

UN RAGGIO DI LUCE. Amava i libri, Francesca. E questo suo amore lo trasmetteva ai minori reclusi, ma anche ai figli dei carcerati dell’Ucciardone. E mostrava a questi ragazzi che «del loro corpo, del loro pensiero, della loro cultura di origine potevano farne bellezza e che la bellezza potevano sceglierla, se lo volevano. Offriva cultura in un ambiente che ne era privo e soprattutto offriva alternative al loro destino criminale, illustrando le azioni degli eroi contemporanei, la situazione attuale politica, la percezione di buono e di cattivo in modo che potessero maturare una percezione totale. Era pervasa più che da una responsabilità, dalla bellezza di poter cambiare qualcosa. E anche da un forte senso di giustizia». In una città complessa come Palermo, in anni difficili come gli anni Ottanta, i più dolorosi della guerra tra Stato e mafia, lei che era figlia di un giudice e aveva scelto la magistratura a sua volta, «aveva capito che c’è un bilanciamento necessario da creare e che se c’è un’ombra forte e poca luce, la luce ha bisogno di essere potenziata per essere portata laddove c’è più ombra» chiosa Ester, interprete appassionata, donna attenta al presente e alla sua storia. «Per questo Morvillo andava a indagare sulle famiglie, per scoprire quali fossero i gap culturali al loro interno e per capire quali dinamiche avessero portato dei ragazzini a scegliere la parte sporca della società. Era ben cosciente che se cerchi di cambiare una giovane mente che fa parte di un contesto mafioso, la famiglia di appartenenza cercherà in tutti i modi di ostacolare questa crescita, affinché il figlio rimanga in quello stato di incoscienza e segua le orme familiari, per esempio lo spaccio».
«Erano un team, insieme ragionavano, cercavano di risolvere i casi, cercavano un nuovo metodo per combattere un fenomeno che stava schiacciando Palermo e si stava allargando a macchia d’olio, tra adulti e minori. Li immagino rientrare a casa, in questa solitudine dal mondo, ma anche in questa fortissima unione di due persone inseparabili»
Ester Pantano
L’UNIONE NELLA SOLITUDINE. Ad affascinare Ester Pantano è stato «il coraggio» di Francesca Morvillo. Intanto perché «lei è stata la seconda donna magistrato a Palermo, in tempi in cui la magistratura era prerogativa degli uomini». E poi perché «lei decide di interrompere il suo primo matrimonio per seguire il suo sentimento per il collega Giovanni Falcone, a sua volta già divorziato, e questo non curandosi di pregiudizi e commenti sia nell’ambiente lavorativo che in quello familiare e sociale». Ma, soprattutto, Francesca accetta consapevolmente di legarsi a un uomo che vive sotto minaccia costante e sotto scorta, entrando nel vortice di una vita che non conoscerà più alcuna forma di privacy o di serenità. «Per me, entrare a contatto sul set con il concetto di scorta è stato la morte. Ti mette in una situazione di panico anche quando il panico non c’è, perché sai che in qualsiasi momento potresti essere attaccato. Sai che quando entri in macchina e giri la chiave, quella macchina potrebbe esplodere. Sai che metti la tua vita in mano di chi in fondo non conosci. Nella consapevolezza di questo rischio costante ti senti solo e loro in questa solitudine hanno trovato un’unione ancora più forte». Al momento dell’attentato mafioso, il 23 maggio 1992, all’età di 46 anni, Francesca Morvillo viaggiava in auto al fianco del marito Giovanni Falcone sull’autostrada A29 Palermo-Trapani, quando in prossimità dello svincolo di Capaci una carica di tritolo fece saltare in aria le auto blindate che li accompagnavano di ritorno da Roma. La giudice venne trasportata ancora viva all’ospedale Cervello di Palermo e poi trasferita nel reparto di neurochirurgia del Civico, dove morì subito a causa delle gravi lesioni interne riportate. La prima magistrata uccisa dalla mafia.
Spero che grazie a questo film e al cinema delle ragazzine sognino di studiare giurisprudenza e di diventare magistrate, che sognino di poter cambiare il destino della propria città, del mondo.
Ester Pantano
COSÌ IN VITA, COSÌ IN MORTE. Da allora, Francesca viene di solito ricordata più come la moglie di Giovanni Falcone, morta con lui nella strage di Capaci. Ma è stata molto altro. Ed Ester sente forte il compito di raccontarla in tutta la sua personalità, in tutto il suo valore. «Il loro è stato un grande amore, ma anche un prezioso rapporto di complicità professionale e di condivisione del lavoro» racconta l’attrice catanese. «Una delle cose più emozionanti che ricordo, all’inizio della mia ricerca su Francesca, è la grafia differente ritrovata su ogni istanza o foglio di lavoro di Giovanni Falcone. Era la scrittura di Francesca Morvillo, testimonianza del fatto che non erano solo coppia amorosa, ma anche coppia lavorativa. Erano un team, insieme ragionavano, cercavano di risolvere i casi, cercavano un nuovo metodo per combattere un fenomeno che stava schiacciando Palermo e si stava allargando a macchia d’olio, tra adulti e minori. Li immagino rientrare a casa, in questa solitudine dal mondo, ma anche in questa fortissima unione di due persone inseparabili e costantemente controllate, e svolgere in questi pochi momenti di privacy un lavoro per la società». Eppure, nonostante l’angoscia e la paura, per quanto frutto di una scelta consapevole, Francesca Morvillo e Giovanni Falcone «sono riusciti a ritagliarsi tanti piccoli momenti di felicità, dal mangiare un gelato al risolvere un caso insieme, momenti di semplice quotidianità. Ma anche la bellezza di essere riusciti a sposarsi, seppur quasi in segreto per evitare che il matrimonio potesse rendere lui fragile consegnando alla mafia un punto di amore sul quale colpirlo» riflette Pantano. «E c’è un’altra cosa su cui ho ragionato tanto e che mi ha molto commosso: il fatto che non avessero figli. Probabilmente sapevano che avrebbero consegnato un orfano alla vita e penso che Francesca abbia scelto come figli tutti i ragazzi di cui si è occupata. Interpretandola, io l’ho proprio sentito: come se avesse una missione».

CAMBIARE DESTINO. Francesca aveva 34 anni, quando incontra per la prima volta Giovanni. La stessa età che ha Ester oggi, mentre la interpreta nel film di Izzo e Tognazzi. Ma, mettendo a confronto quel tempo con questo tempo, «mi sembra un’Odissea» sorride dolcemente Ester. «Mi sembra che fosse molto più grande di me, se considero le responsabilità e le scelte che doveva fare lei per le vite degli altri. Aveva una grande vocazione per il suo lavoro, che non era solo un mestiere. Era una stacanovista, immersa completamente in ciò che faceva, e forse anche perché doveva misurarsi con un ambiente molto maschilista. Francesca sapeva di essere un arco che stava aprendo la porta della magistratura pure alle donne». Per questo, Ester ha un desiderio. Ed è che «grazie a questo film e al cinema, delle ragazzine sognino di studiare giurisprudenza e di diventare magistrate, che sognino di poter cambiare il destino della propria città, del mondo. Che capiscano quanto sia importante lo studio e l’applicazione, molto più del mondo veloce e futile dei social, e che si inizi a ricreare un ordine di valori che ti permetta di esprimere te stesso al massimo, ma anche nella tua espressione massima di considerare gli altri».
Se Francesca Morvillo avesse 34 anni oggi, probabilmente desidererebbe la stessa cosa.
