La storia di un padre afflitto dalla morte del figlio e di un Re a caccia di vendetta. Molti conoscono la vicenda del mito greco: ma non tutti sanno che si concluse in Sicilia. E che, ancora oggi, può insegnarci qualcosa

Dedalo e Icaro. Il folle e disperato volo verso una sanguinosa libertà. La furia cieca del Re Minosse, tradito due volte dal celestiale scultore e a caccia di una vendetta illusoriamente catartica. Chi di noi, almeno una volta, non si è imbattutto nelle vicende di queste iconiche figure? Che si tratti di uno studente conquistato dalla sapiente narratologia classica o di un patito di storia dell’arte, chi non ha avuto familiarità, o desiderio di immedesimarsi, con questa storia cardine del patrimonio mitologico greco? Sebbene la notorietà dell’episodio sia pressoché unanime, tuttavia, non tutti con altrettanza sicurezza sono a conoscenza di un dettaglio rilevante: questi personaggi non appartengono soltanto alla grecità. Anche la Sicilia, infatti, come spesso accade in virtù della stretta connessione che l’isola intrattenne con l’Ellade, è una delle patrie del mito. E proprio nella Trinacria, in un sfondo selvaggio ma affascinante, per certi versi oggi misterioso, trova compimento la luttuosa storia del geniale inventore e del sovrano ferito. Una storia, ancora oggi, carica di un significato estremamente umano.

L’affranto Dedalo, trovò rifugio presso il Re sicano Cocalo, residente nella sfarzosa reggia della mitica città di Camico

Il Dedalo approdato in Sicilia, del resto, è un uomo estremamente provato, appesantito dagli anni e dalla prigionia a Creta. Ma soprattutto dalla perdita dell’adorato figliuolo, rimasto vittima dell’avventurosa fuga con le ali di cera architettate dal padre. Sono le Metamorfosi di Ovidio a narrarci il fatale errore di gioventù, il suo disubbidiente entusiasmo verso le meraviglie del mondo: «Quando il ragazzo cominciò a gustare l’azzardo del volo, si staccò dalla sua guida e, affascinato dal cielo, si diresse verso l’alto. La vicinanza cocente del sole ammorbidì la cera odorosa e infine la sciolse: lui agitò le braccia spoglie e, mentre a gran voce invocava il padre, la sua bocca fu inghiottita dalle acque azzurre». Qui i sentieri del mito giungono in Sicilia: l’affranto Dedalo trovò rifugio presso il Re sicano Cocalo, residente nella sfarzosa reggia della città di Camico (oggi con tutta probabilità Sant’Angelo Muxaro, nell’agrigentino). Venuto a conoscenza della sua posizione, Minosse si recò prontamente nell’isola. Ma, a sua insaputa, andò incontro alla morte: sedotto dalle promesse di Cocalo, che gli aveva garantito un unguento miracoloso capace di donare l’eterna giovinezza, venne ucciso durante un bagno dalle figlie del Re sicano. Dedalo fu salvo e poté ancora una volta fuggire: ma a prezzo di una tumultuosa scia di sangue. Così la Sicilia fece da culla e da tomba ad una delle narrazioni più celebri di sempre. Ma perché leggere un mito ancora oggi?

Nella sua universalità, nella sua trasognante ed epica struttura, il mito costituisce il patrimonio genetico di un’umanità che in esso vede riflesso ogni suo pregio e ogni sua deplorevole pulsione

Perché in quelle storie fascinose ed ancestrali, mirabolanti e crude, apparentemente lontanissime dalla realtà, si cela il solido fondamento della nostra cultura. La loro universalità, la loro trasognante ed epica struttura, costituisce il patrimonio genetico di un’umanità che in esse vede riflesso ogni suo pregio e ogni sua deplorevole pulsione. Il mito, in fondo, è l’antidoto adatto a combattere i seminatori d’odio, coloro che si dilettano nel costruire muri sulle macerie della sofferenza, che vorrebbero fare della diversità non una risorsa ma una condanna. Proprio di fronte alle barriere abbiamo bisogno della mitologia: perché nel suo mondo incantato tutti noi veniamo indagati e raccontati, tutti noi siamo al tempo stesso protagonisti e spettatori, difensori e imputati. Dinanzi ad amanti che consumano la loro vita sull’altare di un sentimento eterno, a genitori intrepidi che si battono per la sopravvivenza dei figli, a personaggi in cerca di redenzione, un profondo e salutare scuotimento prende possesso della nostra anima. E ci ricorda che la libertà non è solo un diritto: ma anche un sacrificio.

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