La statua parlante di Taormina: così Oscar Wilde racconta sé stesso ai turisti
A due passi dall’Hotel Vittoria in cui soggiornò, nella centralissima Piazza IX aprile da cui amava godersi il paesaggio, la raffigurazione del grande scrittore irlandese che risiedette in città alla fine dell’800 incuriosisce i passanti. A realizzarla, in polvere di marmo, è stato lo scultore catanese Vito Giuffrida: «Ho scelto di rappresentarlo per via del suo profondo legame con Taormina, che lui definì il paradiso degli amanti». Avvicinando la smartphone al suo anello blu, l’opera sembra animarsi, iniziando a raccontare la storia della sua permanenza tra i vicoli taorminesi, tra i quali Wilde trovò una parentesi di pace dopo la prigionia per omosessualità. Con lui, si inaugura un modello di turismo alternativo: «Sarebbe bello poter collocare altre statue di celebri personaggi legati alla città – Nietzsche, D’Annunzio, Wagner per dirne alcuni – in scorci a volte anche meno battuti. Sarebbe un po’ come restituire a Taormina un’internazionalità autentica, diversa da quella del glamour dei grandi marchi»
Un garofano verde che fa capolino dal taschino di una giacca. Una mano che sorregge aggraziata lo sgargiante blu di una coppia di farfalle. E un viso soddisfatto, seppur vagamente pensieroso. È su questi particolari che, da un mese a questa parte, gli avventori della centralissima Piazza IX aprile di Taormina, il salotto buono della città sospeso come un’enorme terrazza tra l’Etna e il mare, si soffermano con curiosità. Ad indossarli è la statua di un eccentrico e distinto signore. Il suo sguardo sembra posarsi sulle luminarie natalizie. O forse su tutti quegli occhi che lo scrutano e ai quali sembra chiedere di avvicinarsi un altro po’. Fino al punto da scorgere, accanto a lui, una targa che ne svela l’identità: Oscar Wilde. E, sull’altra mano, un anello blu. La chiave di un incantesimo che, attraverso il contatto con lo smartphone (e l’utilizzo di un tag nfc, ndr), quasi come se la statua investisse di questo privilegio solo coloro che le si accostano con sincera intimità, consente alla figura di parlare. E di raccontarsi: «Sono stato già qui nel 1898, ma allora non ero così bello, giovane e dandy. Quello che vedi è ciò che vedo io…quando non mi guardo allo specchio». Sulla targa, un altro nome fa la sua comparsa: è quello dello scultore catanese Vito Giuffrida, l’artefice di questo omaggio che, a suo modo, è già entrato nella storia di Taormina: si tratta della prima installazione alla quale il comune ha concesso di essere posizionata nel pieno centro della città. «Quando mi è venuta l’idea di realizzare questo genere di opera – ha raccontato – c’erano altre grandi personalità che mi balenavano in testa. Alla fine, però, ho deciso di partire proprio da lui. La ragione è il rapporto profondo e affascinante che lo lega a Taormina. E anche il preciso momento storico in cui la sua vita si è intrecciata a quella della città. Volevo che la sua immagine incuriosisse sia i taorminesi e i turisti, ma anche che avesse, in qualche modo, una funzione didattica».
IL PORTO DELL’ANIMA. La “voce” di Wilde, che sembra provenire con naturalezza dalla polvere di marmo nel quale Giuffrida ha provato a racchiuderne lo spirito, ripercorre infatti alcune delle più tragiche vicende che ne segnarono il destino. L’accanita persecuzione dovuta alla sua omosessualità, le continue umiliazioni perpetrate dalla bigotta Inghilterra vittoriana, la detenzione in penitenziario per due anni di lavori forzati, la grave infezione all’orecchio che lo accompagnerà fino alla morte. «Anche se la mia è essenzialmente una formazione da scultore – ha spiegato l’artista – con il tempo mi sono voluto accostare alla scenografia, perché ritengo che tra le professioni dell’arte sia quella più capace di mantenere i piedi per terra. E come si fa quando ad esempio si deve preparare uno spettacolo teatrale, ho seguito lo stesso approccio per la realizzazione della statua: ho letto, ho studiato ciò che Wilde ha scritto, ho ripercorso la sua biografia e i suoi pensieri. Quando arrivò a Taormina, poco dopo l’esperienza della prigionia, non era già più quello di prima: era appesantito, imbolsito, non aveva più soldi, né fama. Non poteva più vedere né la famiglia, né i figli. Rappresentarlo in quel modo sarebbe stata un’azione non decorosa nei suoi riguardi: ho scelto così di rappresentarlo da giovane». Ma è proprio con l’arrivo nella splendida cittadina del messinese che la sua vita sembrò assumere una direzione decisamente diversa. «Rivolgendosi al suo amore, egli scrisse di aver trovato il paradiso degli amanti nel quale prima o poi sarebbero riusciti a vivere insieme. A Taormina Wilde trovò una sorta di Arcadia felice in cui potersi esprimere liberamente, fianco a fianco con altri celebri personaggi come il fotografo Von Gloeden (che qui morì e tuttora vi è sepolto) e il pittore Otto Geleng». Un sentimento di sincera e meravigliata appartenenza che non lo abbandonò nemmeno quando dovette allontanarsi. «Si ripromise più volte di tornare. Ma non ci riuscì mai. Morì neanche due anni dopo, nel 1900, a Parigi, in assoluta povertà, a conclusione di una parabola esistenziale triste e difficile».
COSÌ IN VITA, COSÌ IN MORTE. Quella taorminese fu per lo scrittore, dunque, una parentesi felice. Una nicchia di libertà dall’infamia che gli era piombata addosso unicamente per via del suo orientamento sessuale e della sua insofferenza alle convenzioni. Una emancipazione del pensiero che, persino nella sua versione inanimata, Wilde continua a scontare ancora oggi: «Quando stavamo per svelare la statua – ha sottolineato Giuffrida ripercorrendo quel momento con amarezza – erano presenti tre ragazzi che discutevano in termini dispregiativi del personaggio. Perché? Per via del suo essere omosessuale. E, anzi, ritenevano che questo fosse un motivo sufficiente per chiedere la rimozione della statua. Qualcuno, nei giorni seguenti, l’ha sporcata con della birra. Altri ancora hanno ben pensato di staccare le farfalle dalla mano. Ho capito che alcuni avevano il desiderio di fargli del male di proposito: non alla statua in quanto tale, ma a quello che rappresenta». Ma anche questo, secondo l’artista etneo, è il senso dell’arte: «Se ha fatto discutere, evidentemente abbiamo raggiunto l’obbiettivo. Ma non bisogna fermarsi soltanto a questo aspetto. Piuttosto, la presenza della statua vuole condurre chi la guarda ad approfondire, a chiedersi: perché proprio lui? Ma anche educare al rispetto del bello, a considerare le opere d’arte come stimolo alla bontà e non come oggetti da accaparrarsi in maniera predatoria». E chi, meglio del grande cacciatore di bellezza irlandese, potrebbe ritenersi più degno di questo compito? «Quando hanno notato la presenza della statua, due turisti irlandesi hanno iniziato a piangere. Wilde amava dire che la bellezza non doveva avere un fine. Ma la sua statua, invece, credo lo abbia ed è quello di stimolare pensiero e curiosità. Anche i pochi simboli che gli ho messo addosso servono a questo. Il garofano, a lungo immagine identificativa della comunità omosessuale prima dell’avvento delle bandiere arcobaleno e utilizzato da Hichens per dare il titolo ad un romanzo che omaggia proprio Wilde. E le farfalle, rappresentazione della purezza, dell’effimero e dell’eterno insieme».
WILDE E I SUOI FRATELLI. Ma il senso della “presenza” di Wilde si spinge già oltre. Fino alla prospettiva di inaugurare un vero e proprio percorso turistico alternativo, in cui Taormina possa essere raccontata ai visitatori dai grandi che l’hanno amata con tanto trasporto. A confermarlo è anche Carlo Turchetti, prefetto del Rotary Club, che ha sostenuto e patrocinato l’installazione: «Il turismo che attualmente frequenta la città è fondato certamente su solide basi, ovvero quelle risalenti ai greci o a Federico II. Ma per coloro che volessero ricercare qualcosa di diverso manca un indirizzo, una guida che li conduca a scoprire quanto lungo sia l’elenco degli straordinari personaggi, da Goethe a D.H Lawrence e Truman Capote, che con i loro commenti hanno in qualche modo inventato il fenomeno Taormina. Sarebbe un modo per innestare una novità in un turismo ormai sempre più massificato». Dal canto suo, Vito Giuffrida ha già in mente l’aspetto di questo grande palcoscenico a cielo aperto: «La statua di Wilde si trova a due passi dall’Hotel Vittoria in cui soggiornò, sulla strada che giornalmente percorreva per godersi il paesaggio. Sarebbe bello fare altrettanto con Nietzsche o D’Annunzio. O ancora con Wagner, o Pasolini. Farli parlare, proprio nei luoghi che li hanno visti fisicamente coinvolti. Creare attorno alle loro figure, magari con cadenza annuale, dei veri simposi in cui si possa discutere di cultura. Restituire a Taormina la consapevolezza di un’internazionalità diversa da quella attuale, dei grandi marchi. E collocarli in posizioni strategiche, così che anche gli scorci meno conosciuti della città, ma altrettanto suggestivi, possano essere battuti». Perché, come pronunciano le candide labbra di Wilde, «è grazie alla follia che possiamo creare e amare. I poeti e gli artisti devono essere ispirati, ma per esserlo qualcuno deve soffiarci dentro».
In copertina la statua di Oscar Wilde realizzata da Vito Giuffrida (foto Joshua Nicolosi)