La tradizione perduta del palio di Sant’Agata
Tra Sette e Ottocento, le corse con i cavalli erano parte integrante delle celebrazioni per la patrona di Catania. I resoconti di due viaggiatori dell’epoca offrono opposte prospettive su questa usanza ormai scomparsa
Come ogni evento religioso di grande partecipazione popolare, la festa di Sant’Agata ha da sempre associato alle processioni diverse espressioni culturali della vita civile: fiere, competizioni tra gruppi coreutici e bande musicali, fuochi d’artificio, luminarie e gare atletiche. Tra quelle ‘dimenticate’ vi è l’usanza delle corse con i cavalli che, tra il Settecento e l’Ottocento, si svolgevano lungo l’attuale via Vittorio Emanuele, in occasione dei festeggiamenti sia di febbraio sia di agosto. Oltre alla partecipazione popolare, esse coinvolgevano anche le autorità cittadine, che vi assistevano solennemente e conferivano ai vincitori un premio consistente in un palio di broccato e in una somma in denaro.
IL PALIO NEL SETTECENTO. La più dettagliata descrizione delle corse nel Settecento la si deve a Jean-Pierre Houël, artista della Reale Accademia di pittura e scultura di Parigi, che vi assistette durante il suo viaggio in Sicilia compiuto tra il 1776 e il 1780. Nel Voyage pittoresque des isles de Sicile, de Malte et de Lipari (Parigi, 1782) Houël racconta che «il primo giorno di festa, sin dal mattino i sei Giurati, il Capitano di Giustizia, il Patrizio, il Sindaco e il Notaio del Senato, si recano tutti con gran corteo di cavalieri e gentiluomini alla chiesa della santa, dove trovano esposti i palii, cioè i premi delle corse di cavalli che dovranno aver luogo per le strade i giorni seguenti». Tra i premi descritti, oltre a quello principale, c’è un palio viola «che viene riportato alla santa e le viene offerto in omaggio».
Jean-Pierre Houël: «I vincitori, seguiti dai premi conquistati, furono portati in trionfo dalla folla acclamante ai cui occhi essi appaiono come degli esseri privilegiati dal destino»
A partire dalle quattro del pomeriggio, si svolgono tre corse di cavalli diversi. «A ciascuna di esse partecipano da sei a otto cavalli: i ginnetti (quelli più pregiati ndr), le giumente e i guardatori, cavalli di qualità inferiore. Montati da ragazzi giovanissimi, essi partono con impeto, volando in mezzo alla folla e alle carrozze sistemate ai due lati delle strade». Houël, descrivendo la cerimonia di premiazione al termine di tre giorni di gare, ne sottolinea la gioiosità e la compostezza. «Si distribuirono i premi ai vincitori, i quali tornarono alla fine al punto di partenza con la fronte coronata di fiori, seguiti dai premi conquistati e portati in trionfo dalla folla acclamante ai cui occhi essi appaiono come degli esseri privilegiati dal destino».
LA TESTIMONIANZA OTTOCENTESCA. Molto diverso lo spettacolo raccontato dall’ecclesiastico anglicano John James Blunt, in visita a Catania tra il 1819 e il 1820 per documentare la permanenza nelle feste dei santi cattolici di antiche usanze pagane. Blunt trova diverse analogie tra gli antichi riti di Cerere e la festa di Sant’Agata e cita Ovidio proprio riguardo alle corse dei cavalli: «Il Circo sarà pieno di gente per la processione e la sfilata degli déi, mentre i cavalli, veloci come il vento, si contenderanno la palma della vittoria». La corsa cui egli si trova ad assistere, tuttavia, non ha nulla della fastosità dei giochi romani, né della compostezza e solennità testimoniata da Houël. La manifestazione gli appare singolare e per certi versi grottesca. «I puledri utilizzati per la competizione non hanno fantino; sul loro dorso si appendono delle sacche con sonagli e dei pesanti ceppi di legno con punte metalliche acuminate. Il rumore degli uni e il dolore provocato dagli altri sarebbero più che sufficienti a stremare altri animali ben più adatti dei cavalli a sopportarne gli effetti. A un segnale di sparo i cavalli vengono liberati a un’estremità della strada; e tra le grida della gente allineata sui due lati essi si spronano a vicenda per superarsi».
John James Blunt: «Era difficile non sorridere vedendo quei giudici addobbati di tutti i loro ammennicoli, che avrebbero dovuto proclamare il vincitore tra una mezza dozzina di ronzini»
Alla gara fa seguito la cerimonia di premiazione, anche questa osservata da Blunt con una certa ironia: «Qui con mia grande sorpresa ho scoperto che i membri del senato stavano seduti all’aperto, al riparo di un baldacchino color cremisi, indossando abiti cerimoniali molto simili a quelli dei nostri magistrati. Addobbati di tutti i loro ammennicoli e accompagnati da tamburini, pifferai e moschettieri, avrebbero dovuto proclamare il vincitore tra una mezza dozzina di ronzini, il migliore dei quali non valeva neanche dieci sterline. Era difficile non sorridere vedendo uno dei giudici alzarsi, discutere la faccenda con gli altri che stavano al banco, e non senza teatralità, enfasi e risoluzione portare il senatus consultum alla folla in attesa».
Il resoconto di Blunt, una volta pubblicato, venne ripreso da diverse riviste e acquisì una certa popolarità in Inghilterra, facendo conoscere al vasto pubblico la festa di sant’Agata. Così non sorprende che in una dettagliata guida turistica pubblicata dall’editore John Murray nel 1864, A handbook for travellers in Sicily, si dedichi specifica attenzione alla festa e si faccia cenno alle corse di cavalli. Nella replica estiva della festa, che in quegli anni veniva celebrata con pari solennità rispetto a quella di febbraio, le corse venivano svolte presso Sant’Agata al Borgo. Da allora la manifestazione ha perso progressivamente rilevanza nell’ambito dei festeggiamenti fino a scomparire del tutto nel Novecento.