L’alfabeto di Don Corleone. Quando il mito del cinema distorce il racconto dei media internazionali
Lo scorso 11 febbraio, una maxi operazione antimafia scattata nel palermitano ha catturato l’attenzione di diverse testate in giro per il mondo. Se alcune hanno mantenuto un approccio equilibrato e storicamente documentato, altre si sono lasciate andare a titoli e commenti che, più o meno volutamente, ricalcavano espressioni cult tratte da “Il Padrino”. Sintomo che la fascinazione, o il tentativo di risultare accattivanti agli occhi dei lettori, fanno ancora cadere nei classici stereotipi
«I believe in America». La prima scena de “Il Padrino” (The Godfather, 1972), il capolavoro di Francis Ford Coppola, si apre con il volto e le parole di Amerigo Bonasera, impresario funebre, che invoca giustizia da Don Vito Corleone per vendicare l’aggressione subita dalla figlia. Seduto in penombra, Corleone ascolta freddamente e, solo dopo aver ottenuto una promessa di lealtà, accetta di vendicare l’affronto. Una sequenza iconica che ha cristallizzato nell’immaginario collettivo l’idea di una mafia fatta di ritualità, legami familiari e ambigui codici d’onore. Quest’estetica, a metà tra romanticismo e brutalità, è riemersa in una maxi operazione antimafia scattata a Palermo l’11 febbraio scorso, condotta dai Carabinieri e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia. Un esponente mafioso, intercettato durante le indagini, ha evocato proprio “Il Padrino” come modello ideale di potere e controllo. La citazione non è passata inosservata soprattutto ai media internazionali, che si sono tuffati nel parallelo tra finzione e realtà.
Dal Daily Star al Telegraph l’operazione è stata descritta con toni ed immagini che prendevano a piene mani dalla celebre pellicola di Francis Ford Coppola
Tra sensazionalismo e informazione. Le interpretazioni fornite dai media, soprattutto quelli stranieri, non sono mai neutre: possono consolidare stereotipi, rafforzare narrazioni distorte o, al contrario, contribuire a una riflessione più approfondita sul fenomeno. Prendiamo in considerazione il caso del tabloid Daily Star. Il 12 febbraio, un giorno dopo l’operazione delle forze dell’ordine a Palermo, la testata ha titolato con enfasi: “Sicily Mafia bosses ordering wannabe gangsters to watch The Godfather to learn trade” (trad. I boss della mafia siciliana ordinano ai giovani criminali di guardare Il Padrino per imparare il mestiere). Il pezzo, firmato da James Caven, è stato corredato da immagini evocative: il viso di un uomo in penombra, seminascosto da un cappello a tesa larga, e una foto di scena di Al Pacino che nel film ha interpretato Michael Corleone, terzo figlio di Don Vito. Il linguaggio del capolavoro di Coppola viene adoperato anche dal Telegraph, che titola l’articolo di Nick Squires con: “Mafia godfathers lament ‘miserable’ calibre of new recruits” (trad. I boss mafiosi lamentano la scarsa qualità delle nuove leve).


Un registro molto simile domina anche la narrazione fatta da alcune testate dall’altra sponda dell’Atlantico. Anche i colleghi del New York Post, sono rimasti colpiti dalla narrazione di una organizzazione criminale in crisi di “manodopera qualificata”. L’articolo di Anthony Blair, infatti, ha un titolo che ricalca quello del Telegraph: “Mafia dons secretly slam ‘miserable’ quality of new recruits — while wishing life was more like ‘The Godfather’” (trad. I capimafia lamentano la scarsa qualità delle nuove leve – mentre sognano che la loro vita possa assomigliare al ‘Padrino’). Stessi toni vengono usati nel titolare la notizia anche dal sito web di Fox News che, nell’apertura dell’articolo firmato da Brie Stimson rincara la dose con una domanda provocatoria: «What happened to never going against the family?» (trad. Che fine ha fatto la regola inviolabile di non tradire mai la famiglia?). Questo interrogativo è l’emblema di come il mito “pop” della mafia continui a influenzare il dibattito mediatico, trasformando spesso un dramma sociale in una saga romantica.
Il rischio è che anche la ricerca esasperata di uno “storytelling alternativo” possa cadere, anche inconsapevolmente, nella dimensione dello stereotipo
La trappola della mitizzazione. Sebbene non manchino esempi di testate internazionali che hanno scelto di mantenere la narrazione sui binari della realtà storica – ad esempio il Guardian non ha mancato di ricordare le ferite lasciate sulla memoria collettiva degli italiani dagli omicidi di Falcone e Borsellino e della stagione delle stragi di mafia – l’impronta lasciata da alcuni fenomeni culturali è talmente profonda da generare, anche a distanza di tempo, delle vere e proprie distorsioni. A queste, poi, si aggiunge, molto spesso, la ricerca esasperata di uno “storytelling alternativo”, che nel tentativo di offrirsi accattivante ai lettori rischia di cadere, anche inconsapevolmente, nella dimensione dello stereotipo. Così, una piaga sociale stratificata rischia di trasformarsi in una leggenda dai contorni affascinanti.
In copertina: un frame dal film “Il padrino”.