Una volta passata l’Epifania, che tutte le feste si è portata via, studenti e lavoratori sono tornati al loro trantran quotidiano, tornando a sostenere ritmi non sempre rilassanti che, a fine giornata, porterebbero chiunque a volere solo sfilarsi le scarpe e sduvacàrisi sul divano. Un’azione che, pur essendo comune a tutta l’Italia, è in Sicilia che viene descritta con un verbo dialettale particolarmente suggestivo.

Ma andiamo con ordine. Si tratta infatti della forma riflessiva del verbo sduvacàri, diffuso per lo più nel messinese ma comune a diverse altre aree dell’isola, come per esempio quella catanese e siracusana. A differenza di quanto si potrebbe pensare su due piedi, però, il termine non significa rilassarsi o stravaccarsi, quantomeno non nella sua valenza originaria.

Anticamente, piuttosto, l’atto di sduvacàri era riferito al rovesciamento di sacchi e contenitori, che venivano quindi svuotati con un gesto rapido e deciso, quasi che il loro contenuto fosse gettato via o buttato per terra, al punto che ancora oggi nella Trinacria chi confessa parola per parola quello che sa sta sduvacànnu ‘u saccu.

Nel momento in cui il lemma ha perso – o comunque smussato – il suo senso letterale per essere utilizzato in contesti più quotidiani e contemporanei, ecco che gli abitanti hanno cominciato a servirsene al posto di vocaboli come lanciare, tirare, scaraventare, per riferirsi in certi casi anche alle condizioni climatiche avverse o ai movimenti poco delicati delle persone intorno a loro.

Oggi, di conseguenza, sduvacàrisi (o sduvacàrsi, in base alle zone) sul sofà al termine di una giornata stressante equivale a dire buttarsi a peso morto, o per prendere in prestito un’altra espressione tipicamente sicula gettarsi cu’ tuttu ‘u sceccu (lett. con il proprio asino) su una superficie morbida e accogliente, così da scrollarsi di dosso il peso delle ore appena trascorse…

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