L’assassino è tra le righe, con buona pace di Pennac
Fin da quando me lo ha indicato un’amica sullo scaffale di una libreria, una quindicina di anni fa, ho rispettato alla lettera il decalogo di Daniel Pennac dedicati ai diritti del lettore, specialmente per quanto riguarda il diritto di saltare pagina.
Mi succede con i classici e con i romanzi più recenti, con i saggi e con i graphic novel: se un passaggio non mi convince, se una descrizione non mi interessa, se una digressione mi rallenta, spingo gli occhi un po’ più giù et voilà.
Con alcuni libri, però, sai fin dall’inizio di non potertelo permettere. Per un motivo o per l’altro. Nel caso de L’assassino è tra le righe (Einaudi, traduzione di Manuela Francescon) di Janice Hallett, come si potrà immaginare, il motivo principale è stato il titolo. Il secondo motivo, altrettanto importante, era legato al genere letterario con cui avevo a che fare, ovvero il giallo – anzi, il cozy mistery, per essere più precisi.
Me lo sono procurato curiosa, irrequieta. Sapevo che avrei dovuto lasciare da parte Pennac, stavolta, e considerando che si trattava di un volume di 550 pagine temevo che non avrei trovato facilmente il tempo, la lucidità, la pazienza, l’energia. La voglia, perfino, di andare fino in fondo.
Invece, de L’assassino è tra le righe parlo qui oggi perché – e lo dico con orgoglio – ci sono riuscita. Ho sentito il dovere di non saltare nemmeno un paragrafo, nemmeno una frase, nemmeno una virgola. Perché sentivo che sarebbe stato utile, che altrimenti non avrebbe avuto senso imbarcarmi in un’impresa già annunciata di depistaggi e di congetture, di falsi indizi e di sospetti insoliti.
Avevo ragione: non solo si è rivelato utile, ma soprattutto piacevole. Avvincente, inquietante. Ho fatto le due di notte pur di arrivare all’ultima pagina, fregandomene del lavoro da iniziare di buon’ora la mattina dopo, perché c’era un caso di omicidio da risolvere e dozzine di email da spulciare per individuare il colpevole.
Sì, avete letto bene: email. L’assassino è tra le righe è costruito così, su scambi di messaggistica, sporadici interrogatori, brevi articoli tratti dai quotidiani locali. Osserva una piccola comunità benestante dell’Inghilterra odierna attraverso le parole che si scambia, i rapporti che intesse, i CC a cui fa ricorso.
E nel diversificare i personaggi solo in base al loro modo di esprimersi o alle versioni altrui dei fatti, ci guida effettivamente verso verità sconcertanti, tendenze paranoiche, famiglie terribili. Un circo umano dell’orrore e dell’ipocrisia che ricorda un po’ Dogville di Lars von Trier e un po’ Assassinio sull’Orient Express di Agatha Christie, in un mélange di idee nuove e di rivisitazioni geniali del crime tradizionale.
Tutto ciò per dire a chi salta le pagine, ma pure a chi non le salta, che ci sono circostanze in cui è meglio fare un’eccezione. Anche se si farà notte fonda, anche se tanti dettagli sembrano inutili o ridondanti. Perché a volte, fra le righe o fra le email, ci sono personaggi che hanno bisogno di essere ascoltati, storie che meritano di essere capite fino in fondo, ritmi che fanno bene a essere lenti se poi i plot twist e lo stordimento finale ribaltano ogni cosa.
Poi, certo, come in ogni indagine che si rispetti un paio di elementi sembreranno a posteriori superflui, inutili, sciocchi. Noiosi, perfino. Ma il loro scopo è proprio quello di sviarci, di accompagnarci verso dilemmi e domande, di farci credere che proprio in quella riga si nasconda la chiave di tutto.
Anzi, vi svelo un segreto, ora che ho messo un attimo da parte i diritti di Pennac: in realtà molti elementi presenti nel testo sono senza senso, o comunque senza scopo. Eppure la magia di romanzi riusciti come questo consiste nel fatto tanto brillante quanto ovvio che puoi discernerli solo dopo. Solo a fine libro. Solo quando intanto li avrai analizzati un per uno con cura maniacale.
Se mi avessero detto che il bello della lettura può anche essere quest’obbligo di sentirsi incollati alle pagine, questo dovere morale di non abbassare mai l’attenzione, non ci avrei creduto. E tuttavia L’assassino è tra le righe ne è l’esempio più gustoso, la riprova più magnetica, il segno più coinvolgente.
Al punto che queste idee non ho potuto che abbozzarle alle due della stessa notte in cui sono arrivata all’epilogo, prima di dormire e prima ancora di puntare la sveglia del giorno dopo. Come a volere dimostrare che fra le righe non ci sono solo gli assassini, ma anche le nostre passioni più vere, le nostre esperienze più forti, i libri che ci mettono più di altri di fronte ai nostri limiti e che però, se riusciamo a superarli, fanno breccia fra i nostri pensieri più di qualsiasi altro.