In scena al Teatro Stabile di Catania con lo spettacolo Scintille scritto e diretto da Laura Sicignano, l’attrice torinese ci racconta il modo in cui costruisce i suoi personaggi, la passione per la parola e le storie che stanno alla base del suo teatro civile

«Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar, cento lire sì te li do ma in America no e poi no». Recita così un noto canto sull’immigrazione in cui una madre promette cento lire alla figlia pur di non farla partire. Non a tutti tocca un destino del genere, c’è chi è costretto a lasciare casa nella speranza di una vita migliore come Caterina e le sue due figlie Rosa e Lucia, protagoniste con Dora, un’immigrata russa, dello spettacolo Scintille scritto e diretto da Laura Sicignano. Ad aspettare queste donne è una realtà molto diversa da quella immaginata, fatta di turni interminabili, umiliazioni, molestie e nessuna tutela sindacale: il tutto per una misera paga nella fabbrica di camicette TWC a Manhattan. Una prigione che diventerà il loro tumulo in quel tristemente famoso 25 marzo 1911 quando a causa di una scintilla 146 lavoratrici morirono, le porte erano chiuse dall’esterno e non c’erano scale antincendio da usare. «In America lo chiamano the fire, l’incendio per eccellenza che ha costituito uno spartiacque in merito alle politiche sulla sicurezza» dice Laura Curino, raffinata interprete. «Basti pensare – prosegue – che già allora esisteva un piccolo oggetto di ottone del costo di pochi dollari, un rilevatore di fumo che avrebbe potuto evitare questa tragedia».

NUOVO TEATRO. Fondamentale nella formazione di Laura Curino è stato, dagli anni Ottanta, il Laboratorio Settimo di Torino, dove insieme al regista e drammaturgo Gabriele Vacis ha iniziato un percorso di ricerca teatrale basato sulla recitazione e la scrittura. «Io amo raccontare del lavoro – dice – fossi nata vicina al mare, avrei raccontato di viaggi e di passione ma sono nata a Torino e in quanto figlia di un operaio e di una sarta credo ci sia poesia, creatività nel lavoro. Ho narrato molte storie di personaggi che hanno fatto l’Italia come Enrico Mattei (fondatore dell’ENI raccontato nello spettacolo Il signore del Cane Nero, ndr), Camillo e Gabriele Olivetti, l’inventore della prima fabbrica italiana di macchine per scrivere, descritto attraverso le parole della madre Elvira e della moglie Luisa. Sebbene la storia sia stata sempre fatta e raccontata dagli uomini, non bisogna dimenticare che accanto a loro ci sono sempre state figure femminili a cui troppo a lungo è stato negato il diritto di parola». Nei suoi lavori Laura Curino ha ridato spesso dignità alle personagge, termine volutamente declinato al femminile, sempre con drammaturgie ricercate e originali come Margherita Hack una stella infinita, Santa Bàrbera, L’anello forte.

CATERINA E LE ALTRE. Nell’interpretare le quattro protagoniste, tutte di età diversa, la Curino è ricorsa ad alcune tecniche di narrazione: «Non è come quando si vestono i panni di un personaggio dall’inizio alla fine, – sottolinea l’attrice – la trasformazione da una all’altra avviene davanti al pubblico, quindi deve essere chiara e non deve interrompere il flusso narrativo. Nel delineare i personaggi ho puntato molto sulla postura, Caterina è molto radicata, terrigna, Lucia è leggera mentre Rosa è dritta, chiusa in un cilindro come solo un’adolescente timida può essere».

RESTARE VIGILI. Malgrado sia passato oltre un secolo, siamo ancora qui ogni giorno a contare le vittime sul lavoro, senza distinzione di sesso e d’età, di razza e religione, solo numeri che non accennano a diminuire. In Italia dall’inizio dell’anno se ne contano 1064, un numero tristemente destinato a crescere. Ecco allora che il teatro diventa il mezzo per trasmettere un messaggio, una riflessione in grado di scardinare meccanismi corrotti per non restare immobili davanti alle ingiustizie. «Lo spettacolo vuole ricordare quell’evento funesto. Certo, sarebbe bellissimo se non dovesse insegnare nulla in merito perché vorrebbe dire che oggi non succedono più cose simili ma purtroppo questa è una questione fin troppo attuale. Alla fine – aggiunge – è un invito a restare vigili oltre che una storia che restituisce lo spaccato di un’epoca».

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