Le lacrime di una bambola: l’inferno delle spose bambine nella musica di Gabriella Grasso
«Scrivere un brano su questo tema era un desiderio, ma anche una necessità. Attraverso la storia di Clarissa, voglio mettere in luce la crudeltà che si cela dietro l’imposizione di un matrimonio in età infantile. È una tappa prematura, ingiusta, la castrazione della vita stessa della bambina». Proprio “Clarissa” è il titolo del brano tratto dall’album “Sognatrici”, nel quale l’artista siciliana, attraverso la metafora della bambola, riflette sul tema, ancora tristemente attuale, dei matrimoni prematuri combinati. Perché la musica rimane, ancora, una strumento di lotta: «Finché avrò fiato in corpo continuerò a cantare di donne, di amori e di tutto quello che ci appartiene»
Si maritau ccô ’nfami a decianni,
accussì nica ca non sapeva nenti,
’u patri «zitta e muta» ci diceva
si maritau ca mancu ’u canusceva.
La bambola di pezza assai chianceva,
chianceva disperata pâ nicuzza,
’sta storia brutta la sapemu tutta,
e stamu muti succànnuni ’a cucuzza
Bambina e poi donna troppo presto, schiava delle scelte altrui. Essere fragile, non più fatto di sogni e desideri, a cui viene tolta qualsiasi possibilità, persino quella di immaginare. Così Gabriella Lucia Grasso, cantautrice catanese, presenta Clarissa – protagonista dell’omonimo brano e del disco Sognatrici, uscito il 22 novembre. Al suo volto, simbolo di milioni di volti in tutto il mondo, affida un potente grido di protesta e di speranza: affinché le note possano smuovere le coscienze e contribuire a fondare la consapevolezza di non potere vivere più una realtà non possibile.
Clarissa…
Il brano, incastonato tra altre storie di donne, nasce a seguito della collaborazione attiva, da parte di Gabriella, con un’associazione che si occupa di spose bambine. «Scrivere un brano sulle spose bambine era un desiderio, ma anche una necessità. Attraverso la storia di Clarissa, voglio mettere in luce la crudeltà che si cela dietro l’imposizione di un matrimonio in età infantile. È una tappa prematura, ingiusta, la castrazione della vita stessa della bambina». Insieme alle note e alle parole, la storia prende forma attraverso un sapiente uso dei simboli e dei colori utilizzati nel video musicale. Primo tra tutti, la bambola di pezza, che diventa lo strumento attraverso il quale Clarissa racconta il suo dramma: «Sulla bambola, Clarissa proietta la sua vita e le sue emozioni, perché a volte è più semplice esternare il proprio malessere attraverso un oggetto. La bambola piange le lacrime che la bambina nasconde, cade quando la sua infanzia viene distrutta da un matrimonio prematuro, non voluto, imposto da chi avrebbe dovuto proteggerla». La storia viene inscenata sul palco di un teatro, scelto per la sua ambientazione asettica. Sul suo sfondo nero, spiccano «il bianco, che rappresenta la purezza, e il rosso – simbolo della violenza contro le donne ma non solo. È il colore del sangue, rappresenta la ribellione, l’opposizione.» Di rosso è vestita anche la mamma di Clarissa, che applaude i novelli sposi insieme al padre e ai pochi parenti chiamati ad assistere, festosi, all’atto violento di un’infanzia rubata.
Alla fine del video la bambola viene lasciata cadere, ed è Gabriella a raccoglierla: «Un gesto attraverso il quale simulo di essere io a raccontare la storia, ponendomi nella posizione di una donna che ce l’ha fatta, che è sfuggita a questo dramma».
…e le altre
Quella di Clarissa è una storia di fantasia, ma la finzione incontra un tema reale e tristemente attuale. I matrimoni combinati tra bambine e uomini di età adulta non sono un problema confinato al passato, ma un incubo che attanaglia ancora oltre dodici milioni di bambine e ragazze ogni anno, in tutto il mondo, costrette a sposarsi prima del compimento della maggiore età, con estranei scelti dai loro padri per questioni di interesse o denaro. «È qualcosa che va al di fuori di ogni contesto etico. All’alba del 2025 siamo tanto bravi a parlare di moralità, eppure non riusciamo a proteggerla nemmeno nelle cose più semplici».
Il matrimonio precoce di Clarissa trova infatti eco nella proposta di legge attualmente in discussione in Iraq, che mira a ridurre l’età legale per il matrimonio delle ragazze da diciotto a soli nove anni. Una modifica solo formale, in realtà, che servirebbe a legalizzare matrimoni religiosi non registrati e consentirebbe pratiche di matrimonio infantile già diffuse in alcune aree, ma finora non riconosciute dalla legge. «A questi legislatori suggerirei di provare a mettersi nei panni delle bambine. È impossibile pensare di privarle delle cose più semplici, sottoporle a una tale violenza non solo fisica ma anche morale. Significa strumentalizzare le bambine e renderle oggetto: sessuale e di servitù».
Sognatrici: la musica come strumento di lotta sociale
Costringere una bambina a sposarsi è un atto di violenza, ma per una donna non basta crescere per vivere senza paura: di essere picchiata, violentata, uccisa. E secondo Gabriella, «Alla base di ogni violenza c’è la disuguaglianza tra uomini e donne, nonostante le lotte fatte e perpetuate nel tempo. Lotte per dei diritti che ci sono dovuti, che in realtà possediamo per natura; diritti per i quali gli uomini non hanno mai dovuto lottare. E a ben pensarci, perché ci affanniamo tanto a essere uguali agli uomini? Donne e uomini sono unici, ed è questa unicità che andrebbe celebrata e rispettata, senza spenderci tanto tra dibattiti e proteste.» Combattere per delle ovvietà, annaspare per tirare fuori la testa in un mare di violenza e sangue, è qualcosa che diventa sempre più difficile da accettare. «È triste pensare di doverne ancora parlare, di dovere scrivere una canzone per provare a smuovere le coscienze su delle differenze che non avrebbero motivo di esistere». L’arte, e la musica in particolare, devono allora ricordarci questo: che stiamo vivendo una condizione non possibile. «Servono a sensibilizzare, a ricordarci che il problema esiste ancora, anche se non ci bruciano più sul rogo. A urlare che c’è ancora tanta strada da fare e finché avrò fiato in corpo continuerò a cantare di donne, di amori e di tutto quello che ci appartiene». L’album Sognatrici e l’omonimo progetto teatrale sono un potente strumento in tal senso. «Il progetto Sognatrici è un dono di riconoscenza verso tutte le donne che ci hanno preceduto e che hanno lottato. Le sue protagoniste sono donne che possedevano una grande arte e che hanno utilizzato il loro talento non solo per uscire dalle situazioni di sofferenza in cui erano confinate ma anche per cambiare la storia. Il loro cambiamento ha permesso il nostro cambiamento, e dobbiamo onorarle per questo».
Il progetto è stato patrocinato da Amnesty International Italia: «Per noi è un grande onore, perché significa che siamo sulla strada giusta per raccontare e divulgare tematiche così importanti, e soprattutto un supporto che aiuta a rendere più potente la nostra voce». Ma in Sognatrici non sono racchiuse solo storie di donne: l’album è un forziere di emozioni, quelle provate dalla cantante nell’intonare ogni parola, rigorosamente in dialetto siciliano. «Il siciliano è il centro della mia musica, è la mia lingua, l’espressione del mio cuore. Insieme ai messaggi che lancio con le mie canzoni, spero anche di lasciare viva la fiamma della lingua nelle persone che verranno. Mi sento in dovere di preservarla, di compiere questo atto d’amore. Perché la musica, tutta la mia musica, in fondo non vuole essere che questo: un gesto di amore».