“Lesu”, l’aggettivo siciliano di chi è duro di comprendonio
Che si tratti di uno studente alle prese con un intricato problema di matematica, un lavoratore autonomo che deve predisporre la dichiarazione dei redditi o il vostro amico che non si raccapezza mai con il resto da dare dopo aver diviso una spesa in gruppo, il dialetto siciliano ha una parola adatta a queste occasioni.
Parliamo di lesu (o lesa, al femminile) un attributo coniato apposta per chi si dimostra un po’ lento a capire e che, pur mantenendo anche una sfumatura più seria e offensiva, è in realtà utilizzato per lo più in maniera goliardica fra persone che si conoscono piuttosto bene, e che possono permettersi di entrare in intimità in maniera scherzosa.
In contesti del genere, quindi, potremmo rendere lesu come duro di comprendonio, sia nel caso in cui non riesca a capacitarsi di un determinato argomento, sia nel caso in cui stia volutamente facendo lo gnorri per interessi personali – o anche solo per prendere tempo.
Ma da dove deriva questo termine così diffuso ancora oggi nella Trinacria? La teoria più accreditata è che sia legato al participio passato latino læsus, ovvero ferito, danneggiato (dall’infinito lædĕre), motivo per cui in maniera metaforica ha poi iniziato a riferirsi a chi si dimostra un po’ ottuso, poco sveglio, non sempre in grado di cogliere al volo un determinato messaggio.
Per esprimere con più chiarezza il concetto, infatti, capita a volte di sentire porre la domanda: «Sì lesu ‘nda testa?», e cioè per l’appunto «Ti sei bevuto il cervello?», con un’accezione che in italiano corrisponderebbe a chi ci dà l’impressione di essere un po’ tocco, ma che non capiamo se in realtà ci sia o ci faccia.
Uno stato temporaneo di smarrimento, insomma, che non passa inosservato agli occhi dei siciliani e che, se da una parte può diventare l’occasione per volgere una certa situazione a proprio vantaggio, dall’altra parte dà uno spunto di conversazione ironico e confidenziale al proprio interlocutore.