Luigi Tabita: «La mia vita da attivista tra le tavole del palcoscenico»

L’attore augustano ci racconta l’aggressione omofoba subita qualche anno fa, le sue battaglie a tutela dei diritti LGBT e la sua lunga carriera tra teatro e televisione

Una famiglia con il teatro nel sangue, quella di Luigi Tabita; il nonno materno Mario faceva parte della Compagnia di Angelo Musco, la stessa per la quale Pirandello scrisse alcune delle sue prime opere. Grazie ai genitori, a soli otto anni, diventa uno degli abbonati più giovani del Teatro Stabile di Catania: «Ho visto tutte le grandi compagnie di giro: Albertazzi, Calindri, Moriconi. Tornato a casa riscrivevo la storia e la rappresentavo con i miei compagnetti. Ricordo che per i costumi avevo un valigione con tutti gli abiti anni ’60 dismessi di nonne e zie. Quando anni dopo decisi di fare l’attore nessuno si stupì, era quasi scontato per la mia famiglia». Diplomatosi alla Scuola d’arte drammatica “Umberto Spadaro”, comincia a muovere i primi passi proprio al TSC, dove sarà impegnato insieme a Lucia Sardo, dal 23 al 28 aprile con lo spettacolo “La Rondine”, che dopo una lunga tournée ritorna a Catania da dove è partito lo scorso anno.

“I ragazzi del sabato sera” é stato uno dei primi spettacoli da protagonista. Che ricordo ha?
«Positivo, anche in quel caso si trattava di un ruolo d’impegno civile sempre per la regia di Francesco Randazzo. La pièce faceva parte di un progetto di scrittura teatrale curato da Filippo Arriva in cui furono coinvolti molti giovani. Come per “La rondine”, anche in quel caso era forte il tema della genitorialità».

“La Rondine”, dello scrittore catalano Guillem Clua, prende le mosse da un fatto di cronaca nera avvenuto qualche anno fa.
«Sì, parte dalla strage di Orlando del 2016 quando un fanatico entrò in un locale gay e sparò a 49 persone, per arrivare a una riflessione più ampia sui rapporti umani e sulla difficoltà, oggi, di accettare quello che la società a tutti i costi etichetta come diverso. Un flusso emotivo unico in cui si affrontano i temi dell’omosessualità, del razzismo, ma anche del complicato rapporto genitori-figli: la difficoltà di comunicare con loro, d’interpretarne i silenzi. L’autore restituisce due punti di vista, da una parte quello di Marta (Lucia Sardo) una maestra di musica che vive arroccata sui suoi principi tradizionali mentre dall’altra parte c’è Matteo, suo allievo, un ragazzo con molta voglia di vivere e con una grande famiglia che lo ama e ha accettato la sua omosessualità, un personaggio completamente risolto. Credo che, rispetto alle altre forme di discriminazione, ad esempio quella razziale in cui la famiglia può essere un supporto, gli omosessuali necessitino di più comprensione e amore perché sono soli nella loro battaglia».

Luigi Tabita e Lucia Sardo

Luigi Tabita e Lucia Sardo (Foto Parrinello)

Come ha costruito il personaggio di Matteo?
«Per raccontare quell’evento sconvolgente dovevo cercare una verità e portarla sulla scena: ecco perché ho visto molte interviste dei sopravvissuti. È un percorso profondo che faccio ogni sera in scena trovando sempre cose nuove. Sono fiero di interpretarlo e che il Teatro Stabile abbia investito in questo progetto, che sta riscuotendo successo anche in Spagna e Brasile. A ogni replica riceviamo complimenti, molti ci dicono di aver capito molte cose, altri di aver voluto fare finalmente coming out. È uno spettacolo che riconcilia e fa bene all’anima e inoltre mi permette di unire il lavoro all’impegno civile».

Cosa non può mancare nel suo camerino?
«Tra poco festeggerò i 20 anni di carriera e in questo lungo percorso ho raccolto molti portafortuna che amici e maestri, da Ranieri alla Sastri da Scaccia a Scaparro, mi hanno regalato. Quando arrivo in camerino sistemo tutti i miei animaletti, i corni di vario genere, la mia Betty Boop, ricordo di uno spettacolo, i tulipani di legno, la foto della mia nipotina Bice (figlia della sorella Barbara, ndr) e i trucchi di scena. In questo modo faccio meditazione e mi ricarico. È il mio modo di ringraziare la vita».

Lei è occupato su più fronti nella tutela dei diritti LGBT: come è nato quest’impegno?
«Dopo il diploma alla scuola di recitazione mi trasferii a Roma per lavoro. Era il 2008, una sera all’uscita da un cinema in pieno centro un mio amico ed io subimmo un’aggressione omofoba totalmente gratuita e violenta. Rischiammo tanto, fu un’esperienza che mi traumatizzò molto ma al contempo mi diede la spinta per portare avanti la mia battaglia sia come attivista, sia con il supporto della politica che negli istituti scolastici. Sono convinto, infatti, che solo attraverso le due agenzie educative, scuola e famiglia, si possano veramente cambiare le cose».

È per questo che dal 2014 porta avanti nelle scuole il progetto “Alma-educare alle differenze” destinato ad alunni e genitori?
«Ho messo su due squadre con un sociologo, un educatore e uno psicologo. Si tratta di un progetto volontario che dura tutto l’anno e prevede un incontro al mese per i ragazzi e uno ogni due per i genitori. Gli incontri si svolgono la mattina, durante l’orario scolastico, e si parla di differenze in maniera trasversale perché la matrice, quella di una dilagante cultura maschilista, borghese ed eterosessuale, è unica sia che si parli di omofobia, di razzismo o di femminicidio. Ci rivolgiamo alle prime medie, quando i ragazzi cominciano a sviluppare una loro opinione sulle cose e noi possiamo ancora agire. Alla fine del percorso è prevista una restituzione sul tema dello stereotipo».

Chi è il suo punto di riferimento?
Sicuramente la saggista e femminista Alma Sabatini, la quale qualche anno fa presentò al Consiglio dei Ministri un opuscolo sul linguaggio sessista (dal titolo “Il sessismo nella lingua italiana”, 1993, ndr) purtroppo insito nella nostra cultura e nell’uso delle parole. Alma era solita dire: “le parole restituiscono la realtà ma la cambiano”. Insieme a Laura Boldrini e a Valeria Fedele abbiamo avviato un lungo lavoro di inclusione e di pluralità sul linguaggio, sul declinare i mestieri, sul politically correct, che purtroppo è stato deriso e cestinato ma che proseguiamo ancora nelle scuole dove sta dando ottimi risultati».

Perché pensa sia andato perso?
Tina Anselmi, la nostra prima ministra della Repubblica italiana, era solita affermare “ogni conquista non è mai definitiva” ed effettivamente basta un attimo per tornare indietro. Da un anno e mezzo i Cda, il governo, si sono svuotati delle donne, anche la Regione siciliana ha eliminato le quote rosa per le quali avevamo lottato tanto. Se in una società bisogna ancora garantirle, allora, vuol dire che qualcosa non funziona».

Da cinque anni è direttore artistico del Giacinto Festival che si svolge la prima settimana di agosto a Noto, una delle 10 mete del turismo LGBT a livello europeo. Qual è il programma di quest’anno?
«Il festival, che si rivolge all’intera società civile, nasce come momento d’informazione e approfondimento culturale sulle tematiche LGBT ed è promosso dal Senato e dalla Camera dei deputati. In questi anni oltre ad aver ospitato molti protagonisti della politica e dello spettacolo, abbiamo affrontato diverse questioni: dagli omosessuali mandati al confino durante il periodo fascista all’assistenza sessuale per disabili. Il titolo di quest’anno sarà “Orizzonti e non confini” e parleremo delle atroci violenza commesse sui migranti LGTB. Il padrino di quest’edizione sarà Luca Trapanese il ragazzo single e gay che ha adottata Alba, una bambina down, presenterà il suo libro e ci racconterà la sua esperienza. Quest’anno, inoltre, ricorrono i 50 anni della Comunità quindi festeggeremo con un grande evento sempre a carattere scientifico. Il nostro scopo è di coinvolgere tutti, per cui vi aspettiamo a Noto».

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