– Sei impazzita? Vuoi tornare laggiù? Noi siamo gente civile e libera.
– Tu sei libero, papà?

Dall’attentato terroristico di Marrakesh del 2011, in cui persero la vita 17 persone, sono trascorsi dieci anni. In questo lasso di tempo sono accaduti molti fatti: la débâcle delle primavere arabe, gli attentati di Parigi e Bruxelles che hanno fatto sì che l’Europa non percepisse più il terrorismo come un’ipotesi lontana, che poteva colpire esotiche mete turistiche, ma anche il cuore dell’Europa e delle nostre città. “Atlas”, il film del regista ticinese Niccolò Castelli recentemente presentato al 67° Taormina Film Fest e in sala da domani, 8 luglio 2021, si interroga attraverso la prospettiva della sua protagonista, Allegra, interpretata da Matilda De Angelis (premiata come miglior attrice alla kermesse siciliana), su quale sia e se esista un processo di guarigione che ci porti a ripensare la nostra società come basata sul confronto con l’altro, il diverso. «Il fatto – racconta l’attrice – è che non possiamo premere un tasto “reset” e fare esplodere la realtà per com’è. Il cambiamento è inevitabile, sta a noi non limitarci a subirlo ma cogliere l’utilità di un cambio di prospettiva». Nel film, la protagonista porta il peso di un trauma terribile: quello derivante dalla perdita dei suoi amici nell’attentato marocchino. Allegra guarda al diverso sentendosi diversa a sua volta, ha timore di tutti ma in qualche modo guadagna la sua libertà uscendo dalla sua prospettiva e andando verso la conoscenza dell’altro grazie all’incontro con un musicista rifugiato. 

Matilda De Angelis al 67° Taormina Film Fest – Foto Antonio Parrinello

PROTAGONISTA ASSOLUTA. In alcuni dei suoi lavori più recenti, Matilda De Angelis ha interpretato tanto il ruolo di una donna che porta squilibrio (Elena Alves in “The Undoing”, con Nicole Kidman e Hugh Grant) quanto quello di elemento razionale di una relazione (Gabriella in “L’incredibile storia dell’Isola delle Rose, con Elio Germano), in questo film, tuttavia, è il suo personaggio a dover fare i conti con un dolore e un travaglio interiore che prelude alla ricostruzione di sé. «Quando ho letto la sceneggiatura la prima volta, ho subito avuto chiaro il fatto che Allegra era protagonista in tutte le scene. Chiaramente, il film è fatto anche da altro e dagli altri, ma in questi due anni di lavorazione ho sentito il peso sulle spalle di dover reggere 90 minuti di pellicola. Tuttavia, ho cercato di utilizzare questa mia fragilità per raccontare la protagonista, la quale parla più con i silenzi e i suoi sguardi che non con le parole».

LO STUDIO DEL PERSONAGGIO. Il personaggio di Allegra prende le mosse dal confronto con una donna realmente sopravvissuta all’attentato di Marrakech. «Ho avuto la fortuna di poterla incontrare, ma non le ho fatto domande, limitandomi ad ascoltare cosa avesse da dire, perché penso che quando ti affacci a una finestra così dolorosa sia necessario farlo in punta di piedi. Ciò che mi interessava era capire da una persona che ha vissuto un trauma del genere come ricostruiva il suo rapporto con gli altri, come era cambiata la sua natura e la sua interiorità». Il personaggio che vediamo nel film, tuttavia, differisce molto dalla reale controparte. Ad esempio, Allegra è una appassionata di arrampicata. «Insieme al regista abbiamo lavorato di empatia e immaginazione». Il confronto con il climbing, tuttavia, è stato molto impegnativo. «Non lo avevo mai praticato e l’impatto è stato abbastanza traumatico. Io ho il difetto di voler dimostrare immediatamente di essere all’altezza del ruolo che mi è stato affidato, così mi sono cimentata subito, non senza difficoltà, sebbene nella mia vita abbia da sempre fatto tanto sport. Nei mesi di preparazione del film mi sono allenata per cercare di restituire un po’ di verità e un’apparente confidenza con gli strumenti, ma per fare davvero quello che fa Allegra nel film non sarebbero bastati cinque anni di allenamento».

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