Nella casa del Danzastorie: dove cunti e tradizioni siciliane prendono vita intorno ad una sedia
Tra le vie barocche di Acireale, in una delle botteghe che affollano piazza Marconi, tra saracinesche chiuse e attività commerciali che ancora sopravvivono, sorge lo spazio gestito da Giuseppe Marino, in arte Alosha. 40 metri quadri che il docente di scienze motorie e insegnante di yoga ha trasformato in un luogo aperto al quartiere. Questo è il palcoscenico delle sue performance che fondono la danza con filastrocche, novelle, canzoni e canti popolari
Sono da poco passate le 20. Una macelleria ultima la chiusura, qualcuno su sedie vintage di novelli ristoranti avvicina i calici, un uomo porta il pane a casa, la polizia locale vigila sul divieto di transito, turisti e passanti incrociano i passi lungo la roulette di un’altra giornata che volge al termine. Accade però che qualcuno torni indietro, un piede in avanti e poi ancora indietro: «Casa del Danzastorie: che sarà mai?», li sentiamo scoprire stupiti la nuova bottega che ha aperto proprio qui, ‘a Chiazza: la chiamano così Piazza Marconi, antica pescheria di Acireale (CT) che, come molte piazze storiche del Bel Paese, custodisce l’identità della sua gente. In questa cornice lavica di commerci e socialità, saracinesche sigillate da necrologi sembrano cercare nella gloria del passato la speranza di un futuro di salvezza (e di crescita del PIL) per questa città. Ma tra un vendesi e un affittasi, la musica vince la nostalgia e il profumo di paranza che pervade le radici promette di rimettere in vita pure quei nomi affiancati da croci. Non accadeva dai tempi in cui non erano stati ancora inventati i centri commerciali: negli ultimi anni qualcosa sta rinascendo, si sta muovendo. O meglio, danzando. Che cos’è questa curiosa vetrina sorta tra botteghe di frutta, pesce, carne e piccoli ristoranti? Lo scopriamo il giorno dopo quando intervistiamo Giuseppe Marino, il Danzastorie.
40 metri quadri su due piani stretti da una scala a chiocciola dove tutto canta, balla, declama in un inno all’arte tout court. «Pensano che io venda qualcosa. Ma quello che io dono non si consuma»
Giuseppe Marino
CHI SI FA CCA’ N’INTRA? 40 metri quadri su due piani stretti da una scala a chiocciola dove tutto canta, balla, declama in un inno all’arte tout court. «Pensano che io venda qualcosa. Ma quello che io dono – ci spiega subito – non si consuma». In questi spazi trova casa la figura del Danzastorie, format ideato da Alosha attraverso cui mima, ballando «come un moderno pupo siciliano», filastrocche, cunti, novelle, canzoni e tradizioni popolari. Ma non solo: qui organizza eventi vari, da laboratori di pittura a presentazioni di libri, mettendo i locali a disposizione di giovani artisti legati dal filo rosso della sicilitudine. Il progetto, finanziato da fondi europei gestiti dal GAL Terre di Aci, si inserisce sul solco di un più ampio intervento di riqualificazione di Piazza Marconi e delle aree limitrofe. «In base agli accordi – chiarisce – con i fondi è stata ristrutturata la bottega il cui titolare, in cambio, mi concede il comodato d’uso per 6 anni affinché metta l’arte al servizio della città, ridando vita al quartiere». Un progetto ambizioso che guarda lontano: «Magari un giorno con queste attività potrò pagarci l’affitto della bottega e portare avanti la mia arte», ci confida Marino che, oltre ad essere docente di scienze motorie, è maestro di danza, yoga e bastone siciliano. A spingerlo in questa avventura il legame emotivo: «Mio padre era il ragioniere dei macellai della zona: mi ci portava in giro mano nella mano con il sorriso. Adesso animo proprio una di quelle vecchie macellerie».
CASA. La bottega è arricchita da opere di giovani di tutta l’Isola. All’ingresso 246 chiodi tengono aperti 58 libri dalle pagine ingiallite che, mentre pesano il fluire delle parole, fissano il valore della memoria. A dare forza a questo messaggio le foto sulla destra, scorci preziosi della città. Alle spalle, murales con i volti di intellettuali siciliani accerchiano un ritratto in ceramica dello stesso Marino che, sulle spalle di quei giganti, danza. «Bufalino, Goliarda Sapienza, Sciascia, Pirandello, Pinella Musumeci, Leonardo Vigo, per citarne alcuni. Attraverso le loro opere vorrei far comprendere le pietre che calpestiamo». Al piano di sopra librerie ricavate da cassette della frutta, bastoni siciliani, una lavagna con appunti di chimica di una classe intrattenutasi dopo una visita e tele di chi in questi mesi ha aderito ai progetti del Danzastorie. Un piccolo affaccio sulla piazza, come uno Stargate, filtra passato, presente e futuro, dimensioni che si mescolano nelle performance di Marino che, per capirle, bisogna vederle.
Fu Carmen Consoli ad aprirgli occhi nel 2010: «Le feci da coreografo ad un videoclip: mi disse “Tu fai danza streusa quindi la devi fare con la musica siciliana”». Nella sua formazione un ruolo cruciale ha rivestito anche l’artista Marina Abramović

DA CARMEN CONSOLI A MARINA ABRAMOVIĆ. Premio Unesco 2019 come messaggero di pace e cultura siciliana nel mondo, Marino si è formato tra Stati Uniti, Canada, Kazakistan e Roma, e grazie a incontri particolari. Fu Carmen Consoli ad aprirgli occhi nel 2010: «Le feci da coreografo ad un videoclip: mi disse Tu fai danza streusa quindi la devi fare con la musica siciliana: notai allora che il racconto siculo ha una sua metrica che si sposa bene con il mio interesse per l’underground della cultura hip hop». Importante per la sua formazione il maestro di meditazione Michael Barnett a cui deve il nome d’arte Alosha, “cuore divino” in sanscrito: «Non è solo un fregio, è un impegno a lavorare sempre su me stesso». Un ruolo cruciale lo ebbe poi Marina Abramović, l’artista serba dei limiti fisici e mentali. «Amo la frenesia e il movimento ma mi diverte l’immobilità. Ho sperimentato quanto il limite stia nella nostra mente. Il corpo ha una sua spiritualità e capirlo migliora i rapporti con le persone in uno scambio di emozioni che libera l’energia e, così, ci connette con gli altri. I miei spettacoli non sono mai uguali perché ascolto le reazioni del pubblico e il mio corpo si adatta alla loro energia. Danzare è come pregare».
UNA SEDIA PER LA FINE DEL MONDO. Ai lati, al centro, al piano di sopra, nel logo: le sedie stanno ovunque. Di legno e colorate (tra l’altro con il coinvolgimento di realtà sociali che accolgono persone con disabilità), su quelle si esibisce e su quelle il pubblico si accomoda. La simbologia delle sedie ha una storia lunga: sono emblema di vita quotidiana, accoglienza (avete presente “Aggiungi un posto a tavola”?), riposo dalle fatiche ma anche postazione di comando. Eppure, Marino le veste di un significato nuovo. Le più curiose, infatti, pendono capovolte dal soffitto. Chi si siede su quelle? «Ciò che sta accadendo ci dice che il mondo sta per capovolgersi: quando accadrà noi saremo pronti. Almeno – chiosa – staremo comodi e godremo dell’arte che è compensazione». Una sedia per la fine del mondo, una sedia per l’inizio di un nuovo mondo. Come non esiste città senza piazza, non esiste Acireale senza ‘a Chiazza. Ce lo ricorda il murales sulla facciata della bottega: «’A chiazza fa scola». Se per caso cadesse il mondo… anche noi ci sediamo qua.