Perché i neutrini sono così difficili da rilevare e cosa rende quello siciliano così importante

Oltre ad attirare l’attenzione dei media, la scoperta fatta dalla Collaborazione KM3NeT ha importanti conseguenze per la nostra conoscenza dell’universo tanto da meritarsi la copertina della rivista Nature. A renderla possibile un imponente sistema di rilevatori subacquei collocati a 3000 metri di profondità al largo di Capo Passero

Ad alcuni giorni dall’annuncio scientifico di questa importante osservazione di un neutrino cosmico estremamente energetico, alleggeritosi il tam-tam mediatico che ha accompagnato l’evento, possiamo provare a capire meglio la portata di questa osservazione e come essa si collochi nel contesto delle attuali problematiche di fisica ma anche in quello di un lavoro paziente, iniziato molti anni addietro e che proseguirà in quelli futuri. 

Le prime congetture. Si tratta dell’osservazione di un neutrino, una particella così elusiva e misteriosa che è stato necessario ipotizzarla molto prima che venisse realmente osservata. Siamo negli anni ’30 del secolo scorso, quando gli studi sulla radioattività beta, un processo spontaneo nel quale alcuni nuclei atomici emettono elettroni, sembrano richiedere che venga prodotta anche un’altra particella, capace di trasportare con sé una parte dell’energia apparentemente mancante. Senza di essa l’energia non si conserverebbe, e il principio di conservazione dell’energia è qualcosa a cui i fisici non sanno rinunciare, ne andrebbe dei fondamenti stessi della disciplina.

Ecco allora l’ipotesi di Pauli dell’esistenza di una ulteriore particella, elettricamente priva di carica, ma di massa piccolissima o addirittura nulla, un piccolo “neutrone”, o “neutrino” come per la prima volta venne denominato – a quanto sembra – durante una conversazione informale tra Amaldi e Fermi. Il nome, e la necessità della sua esistenza, si diffusero presto nella comunità scientifica. Ma non altrettanto la possibilità di osservarlo: passarono più di venti anni perché se ne dimostrasse sperimentalmente l’esistenza, nel 1956, ad opera dei fisici Cowan e Reines.

Una particella sui generis. Da quella data, i neutrini continuano ad offrire sfide incredibili per cercare di comprenderne le proprietà. Dopo quasi un secolo, la fisica dei neutrini è ancora piena di interrogativi, incluso quello sulla loro massa. I neutrini, quelli di bassa energia, sono prodotti da molte sostanze radioattive, anche dal Carbonio 14 presente nel nostro corpo, o nel cibo che mangiamo, dato che contiene una certa percentuale di potassio. I neutrini sono prodotti artificialmente sulla Terra, ad esempio nei reattori nucleari o negli acceleratori di particelle, e sono prodotti in abbondanza dal Sole, in base ai processi di fusione nucleare che lo alimentano. Infine, possono essere prodotti in processi astrofisici di energia estrema, in questo caso con un’energia anch’essa estremamente elevata. Sono proprio questi gli oggetti di cui sappiamo di meno e che sono i più interessanti per la comprensione dei fenomeni capaci di generarli.

Una volta prodotti, tuttavia, i neutrini interagiscono solo di rado con la materia ordinaria: la maggior parte di essi attraversa addirittura l’intera Terra senza interagire, e noi stessi siamo attraversati da un numero enorme di neutrini – migliaia di miliardi al secondo – senza che questo produca alcun effetto. Come fare a rivelarli allora? Occorrono rivelatori di dimensioni enormi e tempi di attesa altrettanto lunghi perché ci sia qualche ragionevole possibilità di osservare l’effetto anche di un solo neutrino, specie se di altissima energia. Ed ecco che qui intervengono gli apparati sperimentali di cui si è discusso molto in questi giorni: complessi sistemi di rivelazione piazzati in un grande volume di acqua o di ghiaccio, dove potrebbe avvenire qualcuna delle interazioni osservabili.

I risvolti della scoperta siciliana.  La Collaborazione KM3NeT, che ha dato l’annuncio nei giorni scorsi dell’osservazione del primo neutrino di altissima energia finora osservato, un’energia oltre 50 volte maggiore di quella mai osservata finora, prende il nome dalle dimensioni utilizzate per piazzare i suoi rivelatori nelle profondità marine, all’incirca un chilometro cubo. Molteplici unità di rivelazione, dislocate lungo torri alte 700 m, sono state piazzate negli anni scorsi a sud di Capo Passero, a circa 80 km dalla costa e ad una profondità di oltre 3000 m sott’acqua, e costituiscono una parte di questo apparato, in fase di ulteriore sviluppo e completamento. Una seconda parte dell’apparato, con una struttura simile, è installata a 40 km dalla costa francese in prossimità di Tolone. È proprio l’apparato posto nel mare siciliano che è ottimizzato per l’osservazione dei neutrini di altissima energia, come quello la cui esistenza è stata rivelata qualche giorno addietro, in concomitanza con la pubblicazione dei risultati scientifici su Nature. A questo progetto, peraltro, un contributo essenziale per la progettazione e per la realizzazione dell’esperimento è venuto in questi anni da un gruppo nutrito di fisici, tecnologi, ingegneri che operano a Catania.

Il segnale identificato in questo caso è stato prodotto da una singola particella, un muone, generato dall’interazione del neutrino originario nell’acqua circostante il rivelatore, e che ha attivato oltre 3600 dei moduli ottici preposti alla rivelazione, un terzo circa di quelli già installati. La ricostruzione della sua direzione e l’energia stimata sono una prova convincente che il muone è stato prodotto da un neutrino cosmico di altissima energia. L’esistenza stessa di eventi dovuti a neutrini di così alta energia apre inoltre degli scenari ulteriori nella possibilità di studiare l’universo in questa nuova finestra osservativa.

Al di là dei dettagli dell’esperimento e dell’osservazione di questo straordinario evento, forse vale la pena capire intanto come l’annuncio di un evento del genere non avviene se non dopo una lunga analisi e verifica dei risultati. Se certi modi di presentare la scienza lasciano intendere talvolta che una scoperta scientifica è un processo immediato, qualcosa da fare in un pomeriggio, chi lavora in questi settori sa al contrario che sono necessari anni, o decenni, per realizzare un apparato di grandi proporzioni e spesso altrettanto tempo per analizzarne i dati prodotti. Il neutrino di cui tanto si è parlato in questi giorni è stato osservato per l’esattezza il 13 febbraio 2023, circa due anni fa, e questo lasso di tempo è stato necessario per analizzare i dati e fare ogni necessaria verifica.

Le future prospettive di ricerca. Come accade nello studio dei fenomeni rari, per quanto si possano escludere tutte le possibili fonti di casualità, l’osservazione di un singolo evento dovrà essere accompagnata nel futuro dall’osservazione di eventi simili, in modo da raggiungere quella che si chiama significatività statistica. Questo spiega l’opportunità e l’interesse nel continuare le osservazioni ed estendere le prestazioni dell’apparato sperimentale, cosa che i colleghi della Collaborazione KM3NeT hanno ovviamente in animo, e stanno già facendo, con un denso programma di completamento del rivelatore.

Quando tutto in un’impresa scientifica è stato fatto secondo programma, dunque, non resta che aspettare i risultati, che certamente verranno? Se questo da un lato è vero, l’esperienza ci ha insegnato che spesso i risultati eccedono le nostre aspettative, prospettandoci qualcosa che non avevamo neppure ipotizzato di trovare. In questi casi la categoria dell’imprevisto, nel suo significato più positivo, è ciò che può spalancare, anche agli uomini di scienza, l’orizzonte di una realtà ancora più ampia.

Foto copertina: © N. Busser CNRS

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Professore ordinario di Fisica Sperimentale delle Interazioni Fondamentali Dipartimento di Fisica e Astronomia "E. Majorana" dell'Università di Catania.

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