Ve lo diciamo subito: la parola di oggi, in realtà, non è esclusiva del dialetto siciliano. Forse vi stupirà immaginare uno scenario in cui vi lasciate alle spalle lo Stretto di Messina e, se continuate a usare il termine prèscia, la gente intorno a voi vi capirà come se venisse dalla stessa strada in cui siete cresciuti e avete imparato la parlata locale, eppure è proprio così.

La ragione è presto detta: il sostantivo prèscia, che significa fretta o premura (sinonimo dunque di cardacìa e agli antipodi rispetto all’aggettivo matèlico), è da ricondurre al latino volgare pressia, a sua volta derivante dal verbo pressare, che vuol dire premere, schiacciare, comprimere (proprio come in italiano). Di conseguenza, il suo uso è rimasto piuttosto comune nello Stivale nel corso dei secoli, per poi scomparire gradualmente fino a rimanere attestato solo nelle parlate regionali, come accade appunto in Sicilia.

Anche dalla Calabria in su, però, è a tutt’oggi attestato in varianti quali pressa, pressǝ, pressia, presia e presa, e si è diffuso in diversi Paesi in forme che senza dubbio riconoscerete al volo: pressure, in inglese; prisa, in spagnolo; presse, in francese, nel senso di ansia, angoscia (e non di stampa, nel caso specifico); e pressa, in portoghese.

Dopotutto, se ci pensiamo, ancora adesso la pressa è «una macchina che comprime, così come anche le macchine per la stampa (presse) erano dei rulli che esercitavano pressione, ispirati ai torchi che premevano l’uva per l’estrazione del succo», per non parlare del fatto che «nei luoghi molto affollati, la calca di gente genera una pressione forte, che spinge e che crea una vera e propria ressa (dal lat. rĭxa, ‘litigio’, incrociatosi con pressa)», come riporta l’Accademia della Crusca.

Da pressione a fretta, poi, il passo è breve: se si vuole ottenere un’informazione o concludere un’attività di gran corsa è esattamente perché, la maggior parte delle volte, si sente incalzare una certa urgenza, una qualche frenesia, che con il suo peso ci porta ad agire d’istinto o a volerci sbrigare il prima possibile.

Come forse ci capita raramente di notare, quindi, esistono dei lemmi che dal latino sono prima passati all’italiano volgare e solo poi al dialetto, rimanendo, anche se solo alla lontana, patrimonio linguistico comune dell’intero Paese.

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