È siciliano il film capostipite del realismo. S’intitola Sperduti nel buio (1914), sottotitolo Gente che gode e gente che soffre. Un classico del muto che venne annoverato dal critico cinematografico acese Umberto Barbaro tra gli esempi di «realismo significante» e di montaggio di contrasto e di parallelismo in anticipo non solo su Griffith «ma anche, quasi di due lustri, sui grandi risultati artistici e le limpide teorie di Pudovkin». È invece Leonardo Sciascia a collegarlo al verismo di Giovanni Verga e a considerarlo “film siciliano”. «Che il soggetto fosse del napoletano Roberto Bracco (definito “l’Ibsen di Piedigrotta”, nda), e napoletano l’ambiente, conta poco», argomenta lo scrittore di Racalmuto nel libro La corda pazza. Quel che contava erano il regista, il catanese Nino Martoglio e, soprattutto, il protagonista della pellicola, Giovanni Grasso, anch’egli nato all’ombra dell’Etna, che si era già conquistata la definizione di “perentoriamente siciliano” in una tournée teatrale a Odessa. È Grasso, secondo Sciascia, «l’elemento catalizzatore della cruda realtà che il film declinava, del realismo cui il film apriva la strada». Catanese era anche la casa produttrice, la Morgana Films, creata da Martoglio assieme a Roberto Danesi tra la fine del 1913 e gli inizi del 1914.

Il sottotitolo del film indica le tinte forti e drammatiche del soggetto: Paolina, la protagonista, figlia illegittima del Duca di Vallenza, vive nel suburbio portuale una vita di stenti e di umiliazioni, a cui il suo nobile padre cerca di sottrarla quando, ormai anziano e malato, decide di riparare agli errori del passato e di lasciarla erede di tutti i suoi beni. A frapporsi è la sua amante, Livia, una donna avida e malvagia, che riesce con l’inganno ad appropriarsi di ogni cosa. Paolina, nel frattempo, incontra Nunzio, un suonatore cieco, con cui finisce per condividere la vita e il destino.

In quella notte del ’43, i soldati del Terzo Reich depredano il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e il film Sperduti nel buio viene sottratto assieme ad altre 313 pellicole

Di questa pietra miliare del neorealismo, con la quale la Sicilia si affaccia sul grande schermo, si sono però perse le tracce. Accadde in una notte d’autunno del 1943. A quel tempo l’Italia era divisa in due. Il sud occupato dagli alleati che, dopo essere sbarcati in Sicilia, iniziavano a risalire verso nord. Oltre il fiume Po, invece, dopo la liberazione di Mussolini dal Gran Sasso, si era formata la Repubblica Sociale Italiana, con capitale Salò, uno Stato fascista sotto il controllo tedesco. I nazisti sapevano bene quanto «la cinematografia fosse l’arma più forte», tanto da aver istituito un ministero della propaganda. Così, in quella notte dell’autunno del ‘43, i soldati del Terzo Reich depredano il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e il film Sperduti nel buio, assieme ad altre 313 pellicole in copia unica e ad attrezzature cinematografiche, viene caricato sui camion che fanno parte dalla carovana della Wehrmacht in fuga dall’Italia.

Il treno dovrebbe fare sosta a Venezia dove Mussolini e Hitler vogliono fondare i nuovi spazi dove produrre il cinema del regime con il Cinevillaggio, che occupa i Giardini e i padiglioni della Biennale, e la Scalera Film che costruirà gli studi di posa nell’isola della Giudecca. Ma è proprio nella tappa veneziana che accade l’imponderabile. Il treno non si ferma e tira dritto oltre il Brennero. Come una valigia smarrita, la copia del film di Martoglio comincia a girovagare per l’Europa: prima fa scalo negli studi Babelsberg di Berlino, poi in una cittadina della Polonia e negli ultimi giorni del 1944, con l’avvicinarsi delle truppe sovietiche in Germania, viene trasferito in una cittadina di nome Kostebrau, per andare a finire forse negli scantinati della Gosfilmofond di Mosca o nell’archivio di qualche collezionista. Insomma, sperduto nel buio, quasi a voler tener fede al suo titolo.

Di Sperduti nel buio restano soltanto la sceneggiatura originale e alcuni frammenti fotografici, pubblicati in volume nel 1987 in omaggio ad uno dei più preziosi gioielli del nostro cinema

Neanche due “monuments men” italiani, stile George Clooney e Matt Damon, ovvero il ricercatore vicentino Denis Lotti e Paolo Cannepele, del Filmuseum di Vienna, protagonisti del documentario del 2014 con titolo identico al film di cento anni prima, riusciranno a ritrovarlo e a riportarlo alla luce. Di Sperduti nel buio restano soltanto la sceneggiatura originale e alcuni frammenti fotografici, che il Centro Sperimentale di Cinematografia ha raccolto e pubblicato nel 1987 in un unico volume, in omaggio ad uno dei più preziosi gioielli della storia del nostro cinema.

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