Riccardo Falcinelli: «Bellezza, sentimento, connessione: il volto è l’oggetto di design per eccellenza»
Nel suo ultimo libro, presentato di recente all’Accademia di Belle Arti di Catania, il celebre graphic designer ha ripercorso in che modo la storia dell’umanità sia stata legata a doppio filo alle potenzialità comunicative della nostra faccia: «Oggi si ricorre alla chirurgia estetica portando come modello la propria foto corretta con i filtri di TikTok. Questa, però, non è una novità contemporanea: è dal neolitico che si usano le tecnologie per modificare il proprio aspetto. Quello che ho imparato scrivendo questo libro è che voler essere belli è l’ultimo dei problemi: la prima cosa che desiderano le persone è “essere”, essere secondo la società in cui vivono e secondo il gruppo sociale a cui appartengono»
Ricostruire l’etimologia delle parole è sempre un esercizio affascinante perché, tassello dopo tassello, ci rimette in connessione con la loro identità originaria. Che spesso porta con sé significati sorprendenti o dimenticati. Prendiamo, ad esempio, la parola “volto”. Benché l’accezione corrente di “faccia” sia ormai consolidata, ricorrere al latino volvĕre ci permette di soffermarci sul fatto che il nostro visto è qualcosa che continuamente tende a spostarsi verso gli altri. A comunicare qualcosa: chi siamo? E come vogliamo che gli altri ci vedano? È come, insomma, se il volto fosse uno strumento per orientarci. Ed è proprio da questa considerazione che Riccardo Falcinelli, uno dei più noti ed apprezzati graphic designer italiani, è partito per costruire il suo ultimo libro, Visus / Storie del volto dall’antichità al selfie, recentemente presentato all’Accademia di Belle Arti di Catania. Un testo che unisce abitudini e costumi del passato e del presente, dimensioni apparentemente separate dallo sviluppo tecnologico eppure incredibilmente vicine nel conferire al viso un ruolo espressivo cruciale. «Quando ho cominciato a ragionare su questo libro e a parlarne, – ha rivelato l’autore – mi è stato chiesto: “Perché vuoi scrivere un libro sulle facce? E che c’entra con il design?”. Ecco, io invece mi sono reso conto di quanto la faccia umana sia stata, nel corso dei secoli, ed è ancora, un progetto di design».
ARTE E VITA. Come spesso accade, infatti, arte e vita finiscono per intrecciarsi e per essere complementari: «La faccia – ha proseguito Falcinelli – è forse la metafora migliore per dare rappresentazione della nostra esistenza. Senza facce non esisterebbe la nostra società. Studi attraverso risonanze magnetiche hanno provato che ci innamoriamo della faccia degli altri. E questo non è affatto scontato; per altre creature viventi non è così. Ciascuno di noi per ragioni a tutt’oggi misteriose trova attraenti alcuni volti, altri meno. Per questo è l’oggetto di design più sofisticato: noi ci “progettiamo” sopra partendo da un semilavorato, che è il nostro viso, nel momento in cui decidiamo se portare la barba, i capelli lunghi, se truccarci. Quando ci interroghiamo su come presentarci agli altri, stiamo compiendo delle scelte di design». Si tratta, tuttavia, di un semilavorato che non abbiamo scelto e che non possiamo cambiare. Eppure, è il frammento più esposto del nostro corpo, il primo punto d’intersezione tra noi e gli altri. «Non abbiamo scelto dove nascere, né i nostri genitori, né la faccia che abbiamo. Diventare grandi significa abitare queste casualità». Ecco che l’essere umano si pone a metà tra un progettista e un archeologo: ha il compito di restituire un’identità a una cornice già esistente, un “volto al volto” per raccontare chi siamo. Riconoscere i visi è sempre stato vitale per noi umani. Significa nutrirsi biologicamente, essendo animali sociali, ma anche dare respiro a quella sfera intima ed emotiva.
Con l’industrializzazione, la vita di tutti si è riempita di relazioni pubbliche fin dall’asilo. È da questa vita fatta di relazioni che nasce l’esigenza, prima di uscire di casa, di controllarsi allo specchio. Queste “scelte di layout” sono influenzate dal contesto in cui viviamo
Riccardo Falcinelli

L’OMBRA DELLO SPECCHIO. Ma se il viso, dunque, è espressione delle nostre potenzialità comunicative, esso può anche riflettere le insidie di un contesto sociale rigido: «Già dall’antichità, chi aveva un ruolo pubblico, come papi e sovrani, ha dovuto costruire la propria faccia per mettere in scena il suo ruolo. Ma con l’industrializzazione, la vita di tutti si è riempita di relazioni pubbliche fin dall’asilo. È da questa vita fatta di relazioni che nasce l’esigenza, prima di uscire di casa, di controllarsi allo specchio. Queste “scelte di layout” sono influenzate dal contesto in cui viviamo». E i nuovi mezzi di cui disponiamo hanno certamente contribuito a rinforzare questo aspetto. «Oggi si ricorre alla chirurgia estetica portando come modello la propria foto corretta con i filtri di TikTok. Questa, però, non è una novità contemporanea: è dal neolitico che si usano le tecnologie per modificare il proprio aspetto. Nelle società antiche era la norma allungarsi il collo con degli anelli. In Africa, la scarificazione della pelle è una pratica usuale del diventare adulti». Strumenti tecnologici, come i filtri di TikTok, spesso ci spingono a guardare chi siamo soltanto per disvelare chi vorremmo essere. Una questione puramente estetica? No, secondo Falcinelli. C’è di più. «Quello che ho imparato scrivendo questo libro è che voler essere belli è l’ultimo dei problemi: la prima cosa che desiderano le persone è “essere”, essere secondo la società in cui vivono e secondo il gruppo sociale a cui appartengono».
«Credo che con l’avanzare del digitale svilupperemo una nuova attitudine culturale e di relazione con gli altri. Ma il pericolo è dietro l’angolo: potremmo finire, per esempio, per interferire con uno dei processi più importanti dell’esistenza: l’elaborazione del lutto»
Riccardo Falcinelli
UN FUTURO… SENZA VOLTI? Un confronto tra il significato dei volti tra passato e presente non può però ignorare il futuro. Che valore potrebbe assumere il volto in un’epoca che ci vuole sempre più digitali? «Credo che svilupperemo una nuova attitudine culturale e di relazione con gli altri. Se usiamo l’intelligenza artificiale per digitalizzare il volto di un assistente virtuale, poco male. Se campioniamo l’aspetto di persone reali a loro insaputa in una versione digital con cui diffondere fake news, quello è già un problema. Se, poi, venissimo clonati virtualmente con degli avatar dopo la nostra morte… ecco, questo sarebbe preoccupante. Si finirebbe per interferire con uno dei processi più importanti dell’esistenza: l’elaborazione del lutto. Noi passiamo la vita ad elaborar lutti di tanti tipi: città che lasciamo, amori che finiscono, la morte del nostri cari. Se lenissimo questo aspetto costitutivo dell’esperienza umana, potremmo andare incontro a svariati pericoli».
(Foto in copertina: Ospan Ali | Unsplash)