Roberto Zappalà: «Il mio Bach danzante ed ecosostenibile»

«Nei miei lavori cerco sempre di imprimere una linea drammaturgica precisa. Questa volta, però, ho seguito la suggestione di unire i suoni e i silenzi della natura perché Bach è così straordinario che non solo si adatta a qualsiasi luogo o manifestazione creativa come la danza, il cinema, la pubblicità, ma la sua è anche una presenza discreta». È questa la dedica che Roberto Zappalà imprime al suo ultimo lavoro Rifare Bach, in scena al Teatro Bellini di Catania dal 21 al 28 dicembre e nato durante una residenza a Lione nel febbraio del 2020, poco prima dello scoppio della pandemia.

AMORE DI VECCHIA DATA. Da sempre vicino alla musica classica, il primo incontro fra Zappalà e il musicista tedesco risale al 1999, quando per Time code usò alcuni Concerti del Maestro di Eisenach. Più tardi fu la volta dei preludi e delle fughe da Il clavicembalo ben temperato impiegati in Naufragio con Spettatore. Per questo suo ultimo progetto, realizzato in co-produzione con Belgrado, Modena, Milano e in collaborazione con Singapore, Hong Kong e Catania, il coreografo catanese ha deciso di ripercorrere le composizioni di Bach ampliandole alla luce delle creazioni di altri autori. «L’idea – spiega – era di riprendere alcuni lavori che avevo fatto su di lui e riformularli in una veste nuova, cercando di capire dopo molti anni qual era la mia sensibilità rispetto alla sua musica. Poi tutto questo ha avuto un riflesso maggiore, che ha coinvolto le sue Sinfonie, i quartetti d’archi, gli assoli per pianoforte e il modo in cui sono stati rielaborati da altri musicisti, con l’uso di parti elettroniche, trasformando la scrittura orchestrale in una trascrizione per pianoforte fino all’utilizzo vocale che ne fa Bob McFerrin».

LAVORARE SUL SILENZIO. Il percorso di Zappalà in Rifare Bach muove poi dai suoni degli animali, dal silenzio dei boschi, dalla profondità degli oceani per tendere a qualcosa di più profondo, in grado di far breccia nell’animo umano. «Durante i primi tre mesi di lockdown – racconta – avendo la fortuna di vivere in una casa dentro il Parco dell’Etna, tutto questo si è sviluppato all’ennesima potenza, anche se già prima, come esigenza personale, avevo iniziato un lavoro sul silenzio. Da tutto questo è scaturito un percorso quasi ecosostenibile, di rispetto della natura, non a caso il sottotitolo dell’opera è La naturale bellezza del Creato, usato poi come titolo del cortometraggio di animazione che abbiamo realizzato e che presto verrà presentato in diversi festival cinematografici». Dieci i danzatori coinvolti in un ambiente sonoro particolare e avvolgente che ingloberà anche lo spettatore. «È sempre molto difficile – aggiunge – imprimere attraverso la danza questo tipo di messaggio, anche se la gestualità talvolta più delle parole può aprire delle porte. Nella danza è così, se ti lasci andare e ti fai coinvolgere dalle musiche, dai movimenti, dalla passione dei danzatori, dalle espressioni del corpo, ne diventi parte».

L’APPRODO A CATANIA. Diciannove mesi dopo quelle prime prove nella città francese, lo spettacolo è andato in scena al Campania Teatro Festival girando da settembre diverse città prima di arrivare nel centro etneo da cui proseguirà la sua tournèe. «Averlo rivisto in prova quasi un anno dopo ha contribuito al raggiungimento di alcuni passaggi d’intensità poetica che probabilmente in prima istanza non erano stati ottenuti. Mi auguro che questa sensazione la provi anche il pubblico catanese perché lo spettacolo ha già riscosso un enorme successo ma ogni platea ha una propria sensibilità e per quanto Catania ci ami ogni spettacolo è sempre una situazione nuova». La distanza con il resto dell’umanità ha senza ombra di dubbio contribuito a dare spirito a una performance definita da molti critici come futurista, «perché atemporale, alla stregua della nascita del Creato».

«Mi auguro che Regione, Città Metropolitana e Teatri pubblici comprendano che la danza sia ormai un linguaggio entrato nella mente delle persone»

RICONOSCERE LA DANZA. Nei trentuno anni d’attività della Compagnia Zappalà, il suo deus ex machina è riuscito a trasformare la città etnea in un polo attrattivo per la danza contemporanea: non a caso Scenario Pubblico è uno dei quattro Centri Nazionali di Produzione per la Danza riconosciuto dal Mibac, sebbene la situazione del comparto in Italia da decenni versi in situazioni catastrofiche. Appena qualche giorno fa, davanti alla Commissione Cultura della Camera, l’étoile Roberto Bolle ha mosso dure critiche nei confronti dell’indifferenza e dell’ignoranza di politici e organizzatori. «Anche se Roberto parlava della danza classica che da quindici anni ha subito pesanti tagli, inevitabilmente chi dovrà decidere – in questo caso Franceschini – sarà chiamato a farlo per tutti. Avendo coscienza di come abbiamo costruito la Compagnia, in un luogo assolutamente acerbo, posso dire che oggi siamo in una situazione migliore rispetto a dieci anni fa, fermo restando che sia gli spazi sia gli atti coreografici sono importanti per il cambiamento e l’emancipazione del popolo che vive in quelle città. Mi auguro che riusciremo a coinvolgere il territorio e che quindi la Regione, la Città Metropolitana e i Teatri pubblici possano comprendere come la danza sia un linguaggio ormai entrato in maniera assolutamente irruenta nella testa delle persone, che ha sviluppato nuove espressioni da cui il teatro ha attinto e che deve fare un salto di qualità».

A questa scarsa sensibilità, si aggiunge il tema della distribuzione: in tournèe con sette produzioni, alcune delle quali storiche come Instrument, che hanno contribuito a esportare un modello di Sicilia moderno, lontana dal folklore, la Compagnia Zappalà concentra infatti la sua attività al Nord Italia e all’estero, territori in cui è più semplice offrirsi in maniera capillare. «In Sicilia faremo tappa solo a Catania, anche se le altre città – ride amaramente – potrebbero benissimo ospitare lo spettacolo. Nel resto dell’isola mancano luoghi come Scenario Pubblico, quindi l’avvento della danza contemporanea è sempre molto limitato anche perché nei teatri i direttori artistici vengono per lo più dalla lirica o dalla prosa». E questa è una grave carenza che si ripercuote sul fruitore condizionando una realtà da sempre attenta alla qualità delle sue produzioni. «In quanto direttore artistico non ho il compito di indirizzare il pubblico verso un linguaggio specifico, ma di corrispondergli un’azione qualitativa. Io credo che gli spettatori siano molto più avanti di alcuni direttori e politici. La danza è assolutamente il linguaggio del futuro, solo che se non abitui le persone alla sua presenza sembrerà sempre difficile da capire».

About Author /

Start typing and press Enter to search