Avete presente quella sensazione ansiogena secondo la quale, se non troverete un lavoro entro massimo i trent’anni, sarete ufficialmente delle persone destinate al fallimento? Quel falso mito per cui, una trovata una posizione stabile, sarete sistemati a vita e non avrete più modo, diritto, possibilità di cambiare strada?

Ecco. Potrebbero volerci interi trattati filosofici e sociali per spiegarci per filo e per segno perché tutto ciò non ha senso. Se, però, a quella vostra sensazione si dovesse aggiungere pure quella di non avere abbastanza tempo a disposizione per approfondire l’argomento, potrebbe bastarvi un solo libro, un breve romanzo, e per la precisione Marzahn, mon amour. Storia di una pedicure di Katja Oskamp.

Si tratta di un testo arrivato da poco in Italia nella traduzione di Rachele Salerno per L’Orma Editore, e che fin dalla copertina sembra volerci suggerire qualcosa di importante. Alle strisce orizzontali rosa shocking, infatti, che sembrano corrispondere alle più comuni associazioni mentali con il mestiere in questione, si alternano i balconi squadrati di un condominio in scala di grigi, tanto anonimo quanto inquietante nella sua struttura frattale.

Dopodiché, basta sfogliare le prime pagine per accorgercene: Katja, la protagonista, non è un personaggio qualunque. E non è nemmeno quarantaquattrenne qualunque, visto che ha appena deciso di riprendere le fila della propria vita cambiando radicalmente abitudini, approccio, lavoro.

Da scrittrice diventa estetista, rompendo fin da subito quel divario immaginario fra alto e basso, fra sacro e profano, fra dimensione intellettuale e manuale, che già nel progetto grafico di Antonio Almeida sembrava non a caso in procinto di scardinarsi.

Si tratta di un paradosso che a prima vista può sembrarci eccessivo, fuori dal mondo, peggiorativo. Eppure, come Katja ci dimostra pagina dopo pagina, è una fase di passaggio capace di stravolgere la sua esistenza, di modificarla in meglio, di metterla in relazione con persone tutte diverse fra di loro.

Perché, se ci riflettiamo, l’attività di una pedicure si basa sì sulla cura al dettaglio e sull’attenzione estetica, ma nel frattempo si nutre specialmente del contatto con la realtà, dello scambio a tu per tu con ogni cliente, e della necessità di garantire una certa armonia dall’inizio alla fine del servizio che si sta offrendo.

Così, la prima cosa che Marzahn, mon amour sembra rivelarci fra le righe sul nostro conto è che a 44 anni non abbiamo affatto smesso di vivere o di prendere decisioni importanti, anzi. E che se è possibile a 44 anni nessuno ci vieta di farlo anche a 26, a 57, a 19 o a 83, in barba alle convinzioni da cui a volte ci sentiamo stringere in una morsa invisibile e letale.

E la seconda, non meno importante, è che la vera bellezza si possa riscoprire non andando in capo al mondo, né isolandoci in una stanza isolata acusticamente, ma restando dove siamo e immergendoci nelle chiacchiere quotidiane, così da confrontarci con gente che non ci assomiglia, che non frequenteremmo mai per scelta nel tempo libero, e che però ha nel bene o nel male ha sempre qualcosa da insegnarci.

Dopotutto, per Katja trasformarsi in una pedicure è metafora del tornare a prendersi cura specialmente della vita, degli istanti quotidiani che prima le sfuggivano dalle dita, perché sono così piccoli e mimetici che per gran parte del tempo non ci accorgiamo di averli proprio sotto il nostro naso.

Un libro che lascia il segno, quindi, o un segnalibro – per dirla con il nome di questa rubrica – che potremmo riassumere in queste poche righe tratte, in cui fa capolino la quintessenza dell’intero romanzo:

«Disinfettare e decorare. Credo di aver capito perché Flocke eccelle in queste due arti: ci tiene che le cose siano pulite, ci tiene che le cose siano belle. Decora il suo appartamento, il nostro salone, se stessa. Decora le unghie delle nostre clienti, e magari quelle opere d’arte di brillantini multicolore possono anche risultare kitsch ed esagerate, ma a volte, forse, la bellezza del mondo è racchiusa nel breve spazio di un’unghia».

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