«Sono il figlio che non hai voluto»: la storia umanissima di Efesto raccontata da Mastrocola
L’Etna, Stromboli, Vulcano. Ogni cratere della Sicilia rivendica la presenza del dio del fuoco e della sua Fucina. A dirimere la controversia ci pensa la scrittrice torinese con il suo nuovo romanzo “Il dio del fuoco”, affondando le mani nella tormentata inquietudine del figlio di Era “che voleva sentirsi amato”. Per ricordarci che, lasciati gli abissi e persino l’Olimpo, «Efesto lavora in tutti i vulcani del mondo»
La sua è una vera passione per i vulcani. Al punto da avere scelto l’isola di Stromboli come seconda casa. Come il luogo in cui si concede, ancora di più, al tempo della scrittura. Si spiega subito, dunque, perché la scrittrice torinese Paola Mastrocola abbia scelto Efesto come protagonista del suo nuovo romanzo, Il dio del fuoco (Einaudi). Che costruiva fucine dentro i vulcani, soprattutto nelle viscere di quelli siciliani.
L’Etna, Stromboli, Vulcano. Ogni cratere della Sicilia rivendica per sé la presenza di Efesto e della sua Fucina. A dirimere la controversia ci pensa Paola Mastrocola, affondando le mani nel mito e nella tormentata inquietudine che smuove l’anima del dio “precipitato”. Per ricordarci che, lasciati gli abissi e persino l’Olimpo, «Efesto lavora in tutti i vulcani del mondo. Ovunque emerga il fuoco, lui è lì. Spinto dal bisogno di disseminare fucine, perché è un dio che vaga, che non trova il suo posto. E io ne ho fatto un isolante, come direbbe Montale».
Sono le isole, infatti, la sua scelta. Non è l’Olimpo, dove dimora Era, la madre naturale che lo ha rifiutato. Ma non sono più neanche gli abissi, dove l’hanno accolto come un figlio le due ninfe Teti ed Eurinome e dove Efesto ha scoperto il fuoco e creato la sua prima fucina. Deve esserci il mare, nella sua casa. Ma anche la terra con il cielo. E deve esserci il fuoco, naturalmente, «perché lui solo col fuoco vive» sottolinea l’autrice. Da qui la scelta delle isole vulcaniche: Lemnos in Grecia, la Sicilia con l’Etna e le isole Lipari. Sebbene il fuoco lenisca solo in parte il dolore profondo del «dio che voleva sentirsi amato». «Il dio escluso», così lo chiama Paola, perché Efesto è «escluso dall’amore materno, dall’Olimpo, da tutto. Figlio della regina degli dei, Era, che vuole essere madre senza l’aiuto del consorte Zeus, per vendicarsi dei suoi infiniti tradimenti e dimostrargli che può generare senza di lui. Però, quando quel figlio lo partorisce da sola, lo rinnega perché è brutto e con i piedi deformi, e lo scaglia giù dall’Olimpo lasciandolo precipitare per un tempo indefinito, dato che il tempo nel mito non esiste. Come potevo non raccontare una storia così».
«Efesto, quando nasce, sa già chi è sua madre? Essendo un dio, può darsi, ma il mito non lo dice. Io ho scelto di no. E quando lo scopre? Ecco la vera questione: dobbiamo dire la verità a chi amiamo o lo dobbiamo proteggere dalla verità?»
Paola Mastrocola
LA SOLITUDINE DELL’ARTE. A quel bambino, Mastrocola regala un’infanzia e un’adolescenza, in cui Efesto trova il fuoco nelle profondità del mare e scopre che può fondere il metallo. «Con quel metallo fuso può fare le forme che vuole, può reinventare il mondo come fanno gli artisti, chiuso in una grotta sottomarina. Grazie a questa chiusura, Efesto trova la sua arte e questo significa che la solitudine non è solo un male, può anche fare del bene».
La storia di questo dio inquieto si muove nella testa della autrice da quasi vent’anni. Come dimostrano «gli appunti che ho ritrovato e che risalgono al 2006, in cui avevo iniziato a scrivere una commedia teatrale su Efesto, dio di cui sappiamo pochissimo: che è nato zoppo, che è un dio fabbro, che ha sposato Afrodite, che però lo tradiva con Ares, e che ha fatto lo scudo di Achille. I dizionari mitologici più di questo non tanto dicono».
Ma c’era un nodo da sciogliere. Quello della verità. «Efesto, quando nasce, sa già chi è sua madre? Essendo un dio, può darsi, ma il mito non lo dice. Io ho scelto di no. E quando lo scopre? Ecco la vera questione: dobbiamo dire la verità a chi amiamo o lo dobbiamo proteggere dalla verità? Credo sia un enigma irrisolvibile, entrambe le opzioni hanno un pro e un contro». Ma la verità, in un modo o nell’altro, viene sempre a galla. E «la ragione per cui ho scritto il libro è stata per fare dire a Efesto, nel confronto con Era, ‘sono il figlio che non hai voluto’».
«Forse mi riconosco in lui. Mi piacciono molto gli inquieti, quelli che non stanno a proprio agio nel mondo e hanno una certa difficoltà ad appartenere a un luogo, un ambiente, una società»
Paola Mastrocola

Passo dopo passo, caduta dopo caduta, riga dopo riga, il racconto di Mastrocola si fa sempre più coinvolgente. E il romanzo si fa ricamo, disegnando un immaginario emotivo fortissimo. Fatto di inquietudine e nostalgia, quelle di un bambino – e poi di un adulto – che non sa da dove viene, ma sa di provenire da qualche parte, che non è il luogo dove è cresciuto. È il richiamo, fortissimo, verso la nostra identità, la nostra storia. Che a un certo punto ci riconduce lì dove tutto ha avuto inizio. E per Efesto l’arte è l’unica scintilla che tampona, guarisce, riempie quel vuoto atroce che si porta dentro. Pieno di tutte le umanissime sfumature con cui l’autrice lo dipinge.
«Forse mi riconosco in lui. Mi piacciono molto gli inquieti, quelli che non stanno a proprio agio nel mondo e hanno una certa difficoltà ad appartenere a un luogo, un ambiente, una società» chiosa Mastrocola. «Come chi è in esilio o si sente esiliato su questa terra, perché il senso di esclusione uno può averlo anche senza sapere da che cosa è escluso. E quando il dio esiliato viene accolto nel regno che era il suo, non è comunque felice, perché arrivare a ciò che desideriamo quando è troppo tardi, non ci risarcisce mai».
VENDETTA O PERDONO? Così come non risarcisce mai nemmeno la vendetta. «Per noi moderni è una parola impronunciabile, che rimanda al farsi giustizia da sé, quindi non ci corrisponde. Ma gli antichi Greci non avevano il perdono e nella letteratura, nelle tragedie, la vendetta equivale alla giustizia. A Nemesi, la dea che porta gioia o dolore a seconda di quello che ti sei meritato, anche se questa forma di giustizia non risolve nulla, perché la vendetta la paghi tutta la vita». Per l’eternità, se sei un dio come Efesto, che «per l’eternità continua a cercare l’amore di sua madre, anche solo il suo sguardo. Pur odiandola, pur non avendola perdonata». Questa dea capricciosa, come tutti gli dei. Annoiati e «infelici», a loro modo, al punto da interessarsi – troppo – delle vite degli uomini mortali.
«Il mito parla di oggi, parla di noi a prescindere da dove siamo, in quale momento siamo. Attualizzarlo significa sminuirlo, perché l’oggi è un pezzettino dell’infinito tempo che noi esseri umani viviamo. Veniamo da millenni e quei millenni teniamoceli addosso»
Paola Mastrocola
«Un’attività a cui si dedicano con grande piacere» sorride Mastrocola. «Non fanno altro che compiere incursioni sulla terra per occuparsi dei fatti nostri e, a seconda della loro simpatia o antipatia, aiutare o ostacolare gli esseri umani. Non ci lasciano vivere in pace nel mondo antico e questa cosa mi delizia particolarmente! C’è un momento preciso in cui gli dei smettono di parlarci: quando noi uomini inventiamo il commercio. Lì nasce quello che chiamiamo coscienza, una voce che non è più quella del dio, ma la nostra stessa».
Eppure, gli dei restano dei. E affascinano da millenni con le loro storie, che cercano di spiegare l’esistenza. Attraverso quei tratti di fragile umanità, che ce li fa amare più che per la loro divinità. «Non toccatemi gli dei, perché li adoro da quando sono piccola!» esclama Paola. Che per scrivere il romanzo di Efesto si è divertita a giocare con alcune invenzioni narrative. «È stupendo contaminare il mito» chiosa, sorridendo. «Essendo un racconto per lo più orale che si trapassa da millenni, ognuno lo riracconta come vuole. Ne esistono tante versioni e chiunque volesse scrivere un romanzo su un mito deve scegliere, scartare, inventare moltissimo. Questa libertà se la sono presa Ovidio, Virgilio, tutti i tragici Greci, da Euripide a Eschilo. Ogni tanto, mentre scrivevo, chiamavo la mia amica Anna Ferrari, autrice di dizionari di mitologia uno più bello dell’altro, per chiederle ‘Ma questo lo posso dire?’ e lei mi rispondeva ‘Puoi dire tutto quello che vuoi’. Così ho fatto».
Però, guai ad attualizzarlo il mito. Su questo Mastrocola – che ha scritto un romanzo modernissimo – è categorica. «Il mito parla di oggi, parla di noi a prescindere da dove siamo, in quale momento siamo. Attualizzarlo significa sminuirlo, perché l’oggi è un pezzettino dell’infinito tempo che noi esseri umani viviamo. Veniamo da millenni e quei millenni teniamoceli addosso, non li sviliamo in un momento che è solo il nostro passaggio. Il mito qualcuno lo ha inventato, certo, ed è sorprendente che chi lo ha fatto abbia toccato, una volta e per sempre, il fondamento dell’essere umano».
(Foto in copertina: Adobe stock)