Un tempo testimoniavano la ricchezza e la potenza della colonia greca di Megara Hyblaea. Oggi, invece, mirano a testimoniare la rinascita di uno dei più maestosi monumenti della storia antica e di tutto il Mediterraneo. Con un progetto di recupero finanziato dalla Regione Siciliana per oltre 5 milioni di euro, tre colonne dell’immenso Tempio G torneranno a svettare sul parco archeologico di Selinunte, lì dove adesso, per via della conquista cartaginese prima e dei terremoti di epoca medievale dopo, giacciono cumuli macerie.

Questo sarà, tuttavia, solo l’ultimo atto di un progetto di studio, riqualificazione  e museizzazione dell’edificio sacro, secondo recenti pareri dedicato a Zeus, sul quale è già a lavoro un team di esperti di alto livello. Tra loro gli archeologi Oscar Mei (Università di Urbino), Valerio Massimo Manfredi – tra i primi a suggerire la ricomposizione – e Claudio Parisi Presicce. Con i suoi 109 metri di lunghezza e 50 metri di larghezza, si tratterà di un vastissimo cantiere che, oltretutto, rimarrà sempre aperto al pubblico. «Non puntiamo sulla spettacolarità”, avverte Mei, “qui non si tratta di una ricostruzione del tempio, bensì di una grande operazione scientifica di ricerca e di tutela».

I resti del tempio G

Un’operazione di studio sì, ma la cui urgenza è anche dettata dalla marcata erosione a cui gli elementi architettonici del tempio sono, nel corso degli anni, stati esposti rimanendo esposti alle intemperie e al fisiologico deterioramento a causa della loro impropria collocazione sul terreno. Per rispondere a questa esigenza, sarà approntato uno studio multidisciplinare: dalle indagini geofisiche alle mappature tridimensionali con il laser, passando per un’approfondita ricerca di fonti documentarie e bibliografiche. 

Un modo non soltanto per affinare l’intervento diretto sul sito, ma anche per svelarne alcune questioni ancora irrisolte. Prima su tutte, quella relativa al completamento della struttura già all’epoca della sua edificazione. «Oggi – rileva Mei – abbiamo compreso come non si tratti, come a lungo si è pensato – di un tempio mai finito ma semplicemente di un edificio “non del tutto rifinito. Nonostante infatti manchino le scanalature delle colonne e molti elementi decorativi, si ritiene che fosse pienamente in uso al tempo dell’invasione cartaginese». 

Si spera che stavolta la sua ricostruzione abbia più fortuna.

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