Un sogno durato troppo poco: Rosina Muzio Salvo e il coraggio delle donne che stravolsero Palermo
Ci fu un tempo, a Palermo, in cui i sogni impararono a camminare. Li si poteva incontrare tra i vicoli dimenticati di una città indaffarata in altre faccende, negli sguardi perduti di chi non aveva niente, nelle smorfie accigliate di un’intera generazione in cerca del definitivo riscatto. Il loro incedere inesorabile si appaiava alla fierezza di donne tutt’altro che convenzionali. Ne seguivano l’intuito, l’intraprendenza, la carica sovversiva. Si poteva persino, accostando l’orecchio al loro ardore come si fa con le conchiglie sulla spiaggia, sentire distintamente il loro grido: «Anche noi siamo risorte!». Erano i sogni di un Risorgimento lontano parente di quello ufficiale, fatto di uomini mandati a morire per un ideale tradito. Di un risveglio intellettuale e sociale trainato interamente dall’ingegno femminile. Erano i sogni della Legione delle Pie Sorelle, associazione di intellettuali e volontarie nata nel capoluogo isolano nel cruciale anno 1848 grazie all’impulso della principessa di Butera e Scordia Eleonora Spinelli Caracciolo, che ne fu presidente. Un vero schiaffo all’immutabile sistema del patriarcato baronale, che indenne aveva superato le suggestioni illuministe e che continuava pervicacemente ad impedire alle donne di incidere sugli affari di pubblico interesse. Tra le fila dell’associazione spiccava la figura di Rosina Muzio Salvo, raffinatissima interprete del suo tempo, conoscitrice attenta delle letterature straniere – che spesso risultavano di difficile accesso persino alle poche donne a cui veniva consentito studiare – e vera anima della rivoluzione femminile palermitana con le sue lettere e i suoi scritti. Il suo ruolo di segretaria della Legione si rivelò fondamentale per la diffusione di un’idea che appare ancora oggi modernissima, ma che certo all’epoca dovette essere percepita quasi come dirompente: rifondare la società sui cardini dell’equità e dell’istruzione. Un’utopia che ancora, in giro per il mondo, non ci si stanca di inseguire. Ma che a Palermo, almeno per un po’, sembrò davvero potersi tramutare in una splendida realtà.
Sotto la guida sapiente di Muzio Salvo, infatti, le 1200 iscritte all’associazione – che si riunivano periodicamente in assemblee da cui in seguito venivano tratti degli scritti pubblicati nell’omonima rivista – riuscirono a raggiungere in maniera capillare tutte quelle donne a cui era negato il diritto all’autodeterminazione. A finanziarle, in un certo senso, fu la stessa città di Palermo, alla quale quelle battagliere volontarie diedero lustro attraverso attività editoriali e culturali (spettacoli teatrali e concerti). Le risorse ricavate da questo lodevole impegno – oltre a quelle proveniente dalle quote di iscrizione delle partecipanti e dalle libere offerte – vennero prontamente reimpiegate. Fu realizzato e gestito un istituto di istruzione femminile, vennero destinati dei fondi al sostegno delle donne che avevano perso i meriti in battaglia, furono inaugurati degli asili accessibili alle classi svantaggiate e distribuiti testi e volantini che inneggiavano alla libertà e auspicavano il coinvolgimento femminile nelle scelte politiche della comunità. «È un’ubbia del volgo, è un pregiudizio che sente di rancidume quello che la donna è solo fatta pel domestico focolare» scrivevano in uno dei tanti manifesti prodotti dall’associazione. Che nei mesi della sua esistenza venne riconosciuta come uno dei grandi simboli della nuova Palermo che stava faticosamente tentando di affermarsi. Rosina Muzio Salvo intrattenne rapporti e trattative istituzionali persino con i membri del governo rivoluzionario, che riconoscevano alle consorelle l’ulteriore merito di aver prestato soccorso a coloro che erano rimasti feriti durante gli scontri armati. «Or che l’educazione sarà considerata come una parte principale della legislazione – si legge ancora tra i vari contributi dell’associazione, come riportato da terminatiillustri.wordpress.com che ripercorre la biografia di Rosina – vasto campo ci si apre dinanzi, in cui debba esercitarsi la nostra collaborazione». Quel proposito, tuttavia, venne presto frustrato.
Già nel 1849, al tramontare dell’impulso libertario, vennero istituite delle vere liste di proscrizione. Vi fu inclusa anche la principessa di Butera, accusata di aver propugnato i moti rivoluzionari e per questo esiliata dall’isola. Con lei, anche l’associazione terminò di esistere. Ma non il suo spirito. Non il germoglio di quell’idea. Portato avanti da Rosina e da tante altre. Portato avanti, tra alti e bassi, da quella modernità che pure fatica ancora a riconoscere alle donne ciò che la Legione aveva garantito. Che ancora può imparare da quel sogno di mezzo secolo fatto a Palermo.