Una lettera scomparsa, una collana e un viaggio che (non) c’è: Camilleri e le avventure di Renoir ad Agrigento
Ufficialmente, il pittore impressionista risulta essere stato in Sicilia una sola volta, per incontrare Wagner. Ma il figlio Jean, nella biografia dedicata al padre, aggiunge una seconda tappa e un aneddoto davvero peculiare, per cui fonti e documenti scarseggiano. Nasce così “Il cielo rubato. Dossier Renoir”, nel quale lo scrittore siciliano sembra quasi vestire i panni del suo Montalbano. Il risultato, affiancato dalla vicenda romanzesca del notaio Riotta e della giovane Alma, è una splendida immersione nel passato e nella vita di un grande uomo a cui la Sicilia ha lasciato un dono indelebile
La avranno cercata con grande fervore, nell’ultimo secolo e mezzo. Critici, studiosi, semplici appassionati: saranno stati lì, assorti nell’implacabile magnetismo di una pennellata. Avranno scandagliato i volti aggraziati in Gli ombrelli; si saranno appostati in religioso silenzio dietro alle coppie impegnate a volteggiare in Ballo in campagna e Ballo in città; avranno persino tentato di dare un nome alla giovane che amabilmente trascorre del tempo In riva al mare. Tutto per scorgerne la misteriosa presenza. Di una traccia. Una prova che il grande Pierre-Auguste Renoir avesse trascorso del tempo nella fu Girgenti. Fu il figlio Jean – celeberrimo e riconosciuto regista che si occupò di redigere la biografia del padre – a svelare questo aneddoto risalente all’anno 1882. Nessun altro documento, nessun’altra attestazione o fonte, neppure alcuna delle sue opere ebbe mai l’ardire di confermare che uno dei maestri dell’Impressionismo fosse incappato in una curiosa avventura nell’entroterra siciliano. Solo della trasferta a Palermo e del suo incontro con il non amatissimo Wagner si conoscevano i dettagli. Serviva allora, per ricostruire le tessere di un puzzle tanto affascinante quanto frammentato, un’indagine certosina. L’intuito acuminato e pervicace di un commissario. Magari di Montalbano, o di chi delle sue peripezie è stato artefice. E un immenso pizzico di fantasia. È così nel 2009, dalla penna di Andrea Camilleri, nacque quella singolare esperienza letteraria che è Il cielo rubato. Dossier Renoir, un insieme di convincenti argomentazioni a favore di un secondo soggiorno isolano del pittore. Reso ancor più suggestivo ed enigmatico dal fatto che, a differenza di quanto era solito fare per i luoghi visitati nel Belpaese, il francese della Sicilia non riprodusse sostanzialmente nulla. Eppure, attenendoci a quanto Jean ha tenuto a riportare, quello di Renoir nella città dei templi non fu appena un fugace transito. Ma un frangente che gli consentì, ben più di quanto lo sfarzo dell’Hotel des Palmes aveva potuto fare, di conoscere e saggiare l’anima più pura della nostra terra.
E dire che l’esperienza dell’artista di Limoges non era iniziata sotto il migliore degli auspici. Accompagnato dalla futura moglie Aline Charigot, a Renoir era stato infatti sottratto il portafogli. Impossibilitato a muoversi oltre, e in attesa che le sue richieste epistolari di soccorso giungessero in patria all’amico e mercante Durand-Ruel, fu costretto a chiedere riparo ad un contadino che molto cordialmente si era prestato al ruolo di guida della coppia. Per sdebitarsi, una volta ottenuto il conguaglio richiesto, il pittore propose una sorta di risarcimento in denaro alla famiglia ospitante. Risarcimento che, tuttavia, venne fermamente respinto. Il racconto di Jean Renoir si conclude dunque con una scena piuttosto emozionante. Aline, onorata da quella dimostrazione di autentica ospitalità, si tolse una catenina dal collo per lasciarla in dono ai suoi benefattori, prima che lei e il suo geniale accompagnatore si congedassero da loro in lacrime.
Certo non mancano le suggestioni in una simile ricostruzione. Ma altrettante, a giudizio dello stesso Camilleri – che ricostruisce la vicenda attraverso gli espedienti fittizi del carteggio e della relazione tra il notaio Riotta e la bizzarra Alma Corradi – sono le questioni rimaste del tutto aperte. Perché, ad esempio, non c’è traccia negli epistolari sempre puntuali di Durand-Ruel della richiesta di denaro fattagli pervenire da Renoir? E, soprattutto, quale circostanza aveva spinto l’artista ad approdare in un luogo, Girgenti, che fino a quel momento non aveva mai considerato come un possibile itinerario? Nella nota (INSERIRE LINK) al testo, il papà di Montalbano ci illustra le sue plausibili conclusioni: «Dalle biografie risulta che Renoir venne in Sicilia una sola volta. Lasciata la compagna a Napoli, arrivò a Palermo, andò a visitare Monreale e il giorno seguente incontrò Wagner all’Hotel des Palmes. Gli fece il ritratto in trentacinque minuti e quindi se ne tornò’ di corsa dalla sua Aline. Impossibile ipotizzare che avesse voglia di prolungare il viaggio in Sicilia con un soggiorno a Girgenti. Ma un giorno mi capitò di scoprire una maglia larga nella rete». Qualche scartabellata a vecchi documenti, una ricerca d’archivio sui movimenti di alcuni battelli, un episodio specifico della vita personale di Renoir: ed ecco che l’immagine del pittore su un carretto siciliano, sotto la canicola di interminabili distese di campagna, assume una nuova, inedita concretezza. «Nel 1882, per curarsi i postumi di una polmonite, Renoir va ad Algeri. Non sappiamo se Aline sia partita con lui o l’abbia raggiunto in seguito. Il proposito di Renoir è quello di restarci quindici giorni, invece si trattiene ben sei settimane. Mi sono allora domandato: chi ci dice che il pittore sia sempre rimasto ad Algeri tutto questo tempo? Nell’ultima (si badi bene, ultima) lettera da Algeri a Durand-Ruel, datata 4 aprile, egli fissa il giorno della partenza per il rientro in Francia: il 14 dello stesso mese. Cioè ben oltre i quindici giorni previsti. Allora feci una supposizione: e se Renoir e Aline da Algeri si fossero imbarcati per Girgenti? Era possibile? Mi documentai. Era possibile. Nel 1882 il transito portuale di Porto Empedocle, distante meno di 6 chilometri da Girgenti, e a quindici ore circa di navigazione da Algeri, era stato di oltre 700 velieri, di cui non meno di 300 da e verso i porti di Algeri e Tunisi. Molti di questi velieri erano anche in grado d’imbarcare qualche passeggero.
Quindi era abbastanza plausibile che il pittore e Aline fossero partiti lo stesso giorno 4, fermandosi a Girgenti fino al 14 per ritornarsene poi in Francia.
Ma come mai nell’epistolario di Durand-Ruel non esisteva nessuna lettera da Girgenti con richiesta di denaro? Trovai la risposta. Nella lettera del 4 aprile appena citata, Renoir prega il suo mercante di mandare 2000 franchi al fratello al quale egli li richiederà non appena ne avrà bisogno. Quindi Renoir, rimasto a Girgenti senza soldi, non scrive a Durand-Ruel, bensì a suo fratello che sa essere già in possesso della somma».
Il mistero a lungo tramandato da Jean Renoir, quel mistero che nemmeno i numerosi altri biografi del padre avevano saputo sciogliere, sembrava risolto. Ma nemmeno Camilleri si avventurò oltre dei pareri puramente personali per spiegare come mai di Girgenti non esista alcun rimando pittorico. Ma forse, in fondo, il bello dei misteri sta proprio qui: nell’essere mai del tutto afferrabili. Forse, inciso nel cuore come la benevolenza dei contadini che gli risparmiarono la strada, il ricordo di Girgenti appartenne per Renoir a quelle cose che continuano a viverti dentro senza mai provare la tentazione di abbandonarti. Forse, quella volta, più che un paesaggio o lo scorcio di una festa, avrebbe dovuto riprodurre la morsa con cui gli addii si aggrappano al cuore. Un’impresa che nemmeno l’immenso Renoir poteva portare pienamente a compimento.
Immagine di copertina: Pierre Auguste Renoir – Self-portrait – 1876 – Olio su Tela. Harvard Art Museums/Fogg Museum, Bequest from the Collection of Maurice Wertheim, Class of 1906
