Di sentenze un po’ frettolosamente tranchant, in questi giorni di fervore da esami di maturità, da morbosa curiosità di conoscere quali tracce sarebbero state proposte agli studenti per la temutissima prova di italiano, ne abbiamo sentite di ogni. C’è stato chi ha levato gli scudi contro una seleziona autoriale, a suo dire, poco propositiva e stimolante. C’è stato, addirittura, chi ha tessuto l’elogio funebre della letteratura italiana, rimasta inesorabilmente ancorata ai triti stilemi del passato, incapace di affrancarsi dall’ingombrante autorità del canone, genuflessa all’esigenza di fornire ai giovani maturandi certezze che un esame non dovrebbe necessariamente dare. Ma qual è stato, esattamente, l’oggetto del contendere? Di quale peccato originale si sarebbe macchiato il sistema-istruzione nella somministrazione della prova ai candidati? La scelta di basare l’esercizio di analisi del testo su brani di Pascoli e Verga. “Quale scandaloso sacrilegio!” avranno urlato gli avanguardisti improvvisati. “Quale inspiegabile e aristotelico debito di riconoscenza!” avranno fatto eco gli inquisitori del nostro tempo camuffati da esotici intellettuali. Eppure, si dà il caso che l’analisi di Nedda, primo bozzetto verghiano parzialmente aderente allo stile verista, sia stata la traccia più gettonata dagli studenti dei licei, con ottimi risultati anche presso gli istituti tecnici. E, già che ci siamo, sgombriamo subito il campo da un altro dei luoghi comuni più in voga di questa settimana: Verga non è stato scelto perché ritenuto “più semplice”. Testimonianza di ciò è il dato complessivo sulla scelta dei ragazzi, che ha visto prevalere il tema della iperconnessione in rete. A cosa si deve, dunque, il successo riscosso dall’immarcescibile Verga? E quale verità sta sfuggendo ai suoi detrattori, che se proprio avessero dovuto scegliere, avrebbero di gran lunga preferito Pascoli come “male minore”?

Le parole di Verga, semplicemente, hanno mantenuto la medesima forza che le caratterizzava un secolo e mezzo fa. Incastonate come sono negli angoli più reconditi del cuore umano. Ieri come oggi, nella società rurale del post-Unità divisa aspettativa di riscatto e cocente delusione come in quella dell’urbanizzazione selvaggia e della rapidità esasperata, gli stessi desideri, le stesse emozioni, le stesse tragedie si incrociano e si afferrano per formare la complessa trama delle nostre esistenze. Il consumante tentativo di guadagnarsi un futuro, la lotta titanica contro un fato che appare già scolpito, la lacerante dicotomia tra rassegnazione e slancio vitale, tra il salto della fede della partenza e la sofferente certezza del rimanere. Si agitano, tra quelle righe immortali, le piaghe di un passato che si è tramutato in eterno presente sotto ai nostri occhi. L’abbagliante e distruttiva virtù del progresso, che spazza via le fragilità sull’altare del suo inarrestabile avanzamento. Il dramma della condizione femminile, che nonostante le strenue battaglie rimane inaccettabilmente, incomprensibilmente, disumanamente precaria. Perché le donne, nell’opera di Verga, sono vinte tra i vinti, emblema di una società meschina che si arrotola sul piacere perverso della sopraffazione, vittime designate del loro, talvolta inconsapevole, anelito all’indipendenza. Non è forse sinistramente attuale anche per un’epoca, la nostra, che si vanta della sua inclusività, della sua civiltà, e che poi dà sfoggio della sua vera natura con leggi aberranti? Che si lambicca su questioni di lana caprina salvo dimenticarsi di dare peso e tutela ai diritti fondamentali, speciemquelli degli ultimi?

No, i ragazzi non hanno optato per Verga in modo da evitare la noiosa prassi della parafrasi che accompagna lo studio delle liriche. Non hanno imboccato la scorciatoia del “già studiato” per sottrarsi alla responsabilità di riflettere sulle altre proposte, più o meno impegnative. Non hanno, insomma, intrapreso un cammino ad occhi chiusi, nella mera speranza che li conducesse ad un approdo sicuro, lontano dalle insidie della mancanza di idee. Verga ha marchiato a fuoco le loro vite. Li ha convinti che la letteratura si situa al di là del tempo. Li ha attratti a sé con la forza di una sconvolgente freschezza. E ha sancito, una volta di più, che nei ragazzi, e in ciò che pensano, va risposta fiducia. Sicuramente molta più di quanta se ne siano meritata certi imbolsiti commentatori.

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