Visconti amava u maccu: il regista e la Sicilia nelle memorie delle “trezzote” de “La terra trema”
«Si recò a pranzo nel nostro ristorante la prima volta che giunse ad Acitrezza. Era venuto ad esplorare la zona e dopo un mese ritornò». Sono i ricordi, non privi di orgoglio, di Agnese Giammona e la sorella Nelluccia, scomparsa lo scorso anno, rilasciati a Riccardo Lupo su Youtube. Li ripercorriamo nel settantesimo anno dall’uscita del cult
Si sa, nessun grande ragionamento viene partorito a stomaco vuoto. Vale anche per i film? Le sorelle Giammona, nelle parti di Lucia e Mara, lavoravano nella trattoria a conduzione familiare, tutt’oggi presente nel Porticciolo, dove Visconti con la sua troupe soleva mangiare durante le riprese; al piano superiore la famiglia aveva messo a disposizione degli spazi per lo sviluppo delle foto. «A tavola? Non era esigente, amava il minestrone con i fagioli, le lenticchie e ‘u maccu. Lo seguiva però un maggiordomo che gli faceva il caffè; se non era fatto bene non lo voleva». Il nobile natio milanese del 1906, padrino di Miguel Bosè, amante di Coco Chanel, Elsa Morante nonché di Franco Zeffirelli, partì per la Trinacria nel 1947 per girare un documentario finanziato dal PCI. L’attivismo antifascista, tanto più l’adesione comunista, gli valsero l’epiteto di “Conte rosso”. Era un momento storico delicato, la fine della Seconda Guerra Mondiale e lo scontro alle elezioni del ‘48 tra il PCI e la DC. Il nudo fascino di quella terra lo convinse a trasporre l’opera verghiana in un lungometraggio narrativo. Aveva in mente una trilogia di film incentrata sui vinti, uno sui pescatori, uno sui contadini e uno sui minatori, in Sicilia e sulla Sicilia, che però non sviluppò, probabilmente per il triste evolversi delle riprese di La Terra Trema. Il regista aveva offerto agli abitanti del luogo un compenso pari se non superiore a quello che in media erano soliti guadagnare uomini e donne del tempo (450 lire alle donne, da 800 a 1000 lire agli uomini) ma spesso nel mezzo della scena molti pretendevano di alzarlo. Alcuni lo ricattarono suonando una grossa conchiglia (brogna, in dialetto) che disturbava i lavori. Per gli sgarbi ricevuti alla fine se ne andò disgustato, come racconta rammaricata Agnese Giammona che lo ricorda «persona distinta, intelligente e creativa».
«Me le dà le sue figliole per recitare?» Nel paese non era benvisto che le donne recitassero. Solo dopo tenaci ma gentili insistenze del regista, il padre acconsentì, con la rassicurazione che nessun uomo le avrebbe baciate, motivo per cui non concesse la stessa autorizzazione alla terza figlia a cui Visconti aveva pensato per la parte di fidanzata di ‘Ntoni che avrebbe dovuto baciarlo: «Prima ci criticarono tutti e poi tante ragazze di Acitrezza si presentarono per questo ruolo, si truccavano per farsi notare, ma lui ci voleva naturali». Recitare per una donna significava esporsi alle maldicenze dei paesani e loro non ne furono escluse. «Il giorno che dovevamo iniziare i lavori, c’era in piazza la stessa confusione che c’è per la festa di San Giovanni: per la vergogna ci nascondemmo a piangere ma poi Visconti ci tranquillizzò». Così la testimonianza di Agnese offre uno squarcio della condizione delle donne siciliane negli anni ’50, dal vestiario scuro e i capelli coperti e soggette alla gerarchia familiare.
Il film. La Terra Trema (1948) segnò del neorealismo viscontiano, di cui fu il padre in cinematografia, l’acme e l’abbandono. Il film, dalla libera lettura de I Malavoglia di Verga, è girato proprio nell’ Aci Trezza del verista siciliano (il legame con la Sicilia si rifletterà poi sul Gattopardo). La Terra Trema ha un taglio crudo quasi documentaristico: «Le case, le strade, le barche, il mare, sono quelli di Acitrezza. Tutti gli attori del film sono stati scelti tra gli abitanti del paese». È l’incipit del film, uno dei pochi italiani interamente in dialetto, pratica -quella della distribuzione in lingua originale- oggi molto in voga. A tremare è l’anima collettiva degli esclusi che lottano contro l’avversità delle cose e degli uomini. La storia dei Valastro, famiglia di umili pescatori siciliani, potrebbe ben incarnare quella della filastrocca di Santa Pazienza che come un’operaia solita a routine fiaccanti, ogni sera aggiunge perle ad un filo senza nodo sperando in una collana che mai vedrà realizzarsi. È la beffarda provvidenza che ribalta la barca e cala puntuale come ombra notturna sui tentativi di ribellione di ‘Ntoni allo sfruttamento capitalista dei grossisti.
Un’Aci Trezza da fiaba. I ricordi più belli di quella lontana esperienza? La gran cena che organizzò a conclusione delle riprese, invitando quasi tutto il paese: «Chiamò Finocchiaro, un grande ristoratore di Catania e fece persino allestire, dove fanno il mercato, una pista da ballo. Una bellissima serata a cui fece seguito una Venezia indimenticabile». Le sorelle Giammona presenziarono con soddisfazione al Festival del Cinema di Venezia del 1948: «Ricordo l’incontro con Anna Magnani (prima donna italiana a vincere il premio Oscar) e i molti complimenti che ricevemmo che ci facevano arrossire». Era il 2 settembre 1948 e il film veniva proiettato per la prima volta, ricevendo il Premio internazionale “per i suoi valori stilistici e corali”.