L’isola del mito per eccellenza, l’isola dell’immancabile ritorno, dove la fantasia si materializza e ci dona nuova linfa. È il segreto da scoprire della Trinacria, capace di indicarci il futuro mostrandoci un passato leggendario

Possono gli oggetti, le immagini e persino i luoghi contenere, catturare frammenti del passato? Possono fungere da interruttori capaci di riattivare in noi sensazioni apparentemente perdute? E può il mito affascinarci a tal punto da trasformarsi in realtà? Interrogativi amletici, di non immediata risposta, a meno che non siano riferiti alla Sicilia. Perché, in quel caso, la soluzione al dilemma diventa molto più semplice e ha esito positivo. In Sicilia, l’isola che affiora in mezzo al mare come la ginestra che fa capolino tra la pietra lavica, affiorano in maniera spontanea anche pensieri, suggestioni, ricordi, emozioni. Quelli siciliani sono spazi viventi, coinvolgenti, che trasudano misteri in cui perdersi piacevolmente e incontri da assaporare. Ne sa qualcosa Giuseppe Tomasi di Lampedusa, celebre autore de Il Gattopardo, che nella sua carriera di scrittore non fu certo tenero nei confronti della sua terra. Eppure, tra le pieghe di un racconto non molto noto, anche lui sembra arrendersi alla forza immaginifica della Trinacria.

Pubblicato nel 1961, tre anni dopo la morte dell’autore nativo di Palermo, La sirena – conosciuto anche come Lighea per via del nome della mitica creatura – prende le mosse in quel di Torino, dove due emigrati siciliani, il giovane Paolo Corbera di Salina e l’attempato professore Rosario la Ciura, fanno la reciproca conoscenza, stringendo un legame così significativo da raccontarsi l’un l’altro le proprie confidenze più nascoste. Proprio da una di queste confidenze emerge l’episodio centrale del racconto: il professore la Ciura, infatti, ci svela che nei primi tempi dopo la sua partenza, impegnato a studiare intensamente per ottenere una cattedra al Nord, era tornato in Sicilia per recuperare la serenità perduta. Proprio qui, nello specifico ad Augusta, si imbatte nella sirena Lighea: un incontro salvifico, che gli cambia la vita e lo fa maturare abbastanza da affrontare le difficili sfide dell’esistenza. Una figura che in realtà non esiste, la sirena, ha ricadute sulla vita di tutti i giorni del nostro personaggio: come si diceva, il mito che sembra diventare realtà. Ma in che senso? Lighea, con le sue forme aggraziate e accattivanti, con la sua condizione a metà tra leggenda e concretezza, non è altro che l’immagine della Sicilia stessa, sempre pronta a riaccogliere i propri figli in cerca di risposte. Una terra magica, dove i sogni possono bussare alla porta del nostro cuore per indicarci, con le orme dei ricordi, la strada del futuro.

L’innamoramento/infatuazione di la Ciura è quello di ogni siciliano che ha bisogno di reimmergersi nel mare della sua storia per recuperare le fila dei suoi discorsi. L’esperienza del personaggio di Tomasi di Lampedusa è l’espressione di una positività del ritorno, inteso non come negativo regresso, ma come riscoperta di una singolare autenticità, di una presenza costante della Sicilia nelle nostre vite. E questa presenza, come fa il professore, è così inspiegabile e longeva che viene quasi naturale cercare di spiegarla agli altri, per renderli partecipi dell’emozione. La Sicilia, in fondo, è qualcosa che va trasmesso come un racconto popolare, un segreto che continua a migrare tra le generazioni di siciliani. Una creatura bella come una sirena, che ci ammalia e ci individua anche a distanza col suo canto malinconico e affezionato, fino a quando, come il professore la Ciura, torneremo ad ammirarla, su uno scoglio o su una riva. O anche soltanto nelle nostre fantasie.

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