Un importante studio pubblicato sulla rivista “Science Advances” ha messo in allarme gli abitanti ai piedi del vulcano. Nell’arco di una settimana, numerosi esperti sono intervenuti sulla questione, affermando come la pubblicazione della ricerca – unita all’evento sismico registrato in provincia di Catania – sia stata sfruttata dai media dando luogo a titoli sensazionalistici per qualche click in più. Ma quanto c’è di vero dietro questa vicenda?

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]C[/dropcap]i troveremo di fronte a un’onda alta ottanta metri che in dieci minuti spazzerà via la città!». È la frase che recita il geologo Kristian Eikjord nel film catastrofico “The Wave” diretto da Roar Uthaug, che racconta la storia di un devastante tsunami capace di annientare la cittadina norvegese di Geiranger, a causa di un’imponente frana che incombe sulle acque del fiordo di Åkerneset.
La pellicola parte dal reale pericolo rappresentato dalla montagna situata alle spalle del paese, che sta lentamente scivolando verso il fiordo.

“Rischio tsunami nel Mediterraneo”, “Catastrophic collapse of Mount Etna could trigger tsunami, scientists warn”, “Mount Etna may trigger a TSUNAMI!”, “Una ladera del Etna podría colapsarse en el mar”, sono invece i titoli apparsi nelle home page delle più importanti testate giornalistiche online, in seguito alla pubblicazione di un importante studio dal titolo “Gravitational collapse of Mount Etna’s southeastern flank” sulla nota rivista “Science Advances” il 10 ottobre 2018.

La notizia ha inoltre avuto particolare risalto dopo il terremoto di magnitudo 4.8 registrato nella provincia di Catania solo pochi giorni prima, il 6 ottobre 2018 alle 2:34 della notte. Nell’arco di una settimana, numerosi esperti sono intervenuti sulla questione, affermando come la pubblicazione dello studio – unita all’evento sismico – sia stata sfruttata dai media dando luogo a titoli sensazionalistici per qualche click in più.
Ma quanto c’è di vero dietro questa vicenda?
La ricerca attesta l’instabilità del fianco sud-orientale del vulcano a causa delle forze gravitazionali, con conseguenze potenzialmente catastrofiche.

LO STUDIO. La ricerca, condotta da un team di scienziati del “GEOMAR” di Kiel (Morelia Urlaub, Florian Peterse, Dietrich Lange e Heidrun Kopp), dell’“Istituto di Scienze della terra” dell’università di Kiel (Felix Gross e Sebastian Krastel), e dell’“INGV – Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Sezione di Catania, Osservatorio Etneo” (Alessandro Bonforte, Giuseppe Puglisi e Francesco Guglielmino), si è concentrata nell’arco di 15 mesi nel monitoraggio della parte sommersa del vulcano. Lo studio riporta come «dati geodetici senza precedenti hanno rivelato uno scivolamento di 4 cm lungo l’estensione al largo di una faglia legata alla cinematica dei fianchi, durante un evento di 8 giorni nel maggio 2017».

Se sulla terra «il profilo spaziale del fianco instabile è già noto e ben definito dai metodi geodetici, geofisici e geologici», nessuno studio – scrivono gli autori – era stato condotto sul fondo del mare. «Sott’acqua, le distanze possono essere valutate con la velocità del suono dell’acqua e le misure del tempo di viaggio tra i transponder sul fondale marino. Una rete di cinque di questi transponder è stata collocata su entrambi i lati del confine meridionale sommerso del fianco instabile dell’Etna ad una profondità di ~ 1200 m. Le variazioni di distanza tra i transponder attraverso la faglia, e l’aumento della pressione ai transponder a nord di essa, indicano il movimento del presunto fianco instabile rispetto all’ambiente circostante».

Quanto affermato si aggiunge ai già noti contributi sul tema, presenti già dagli anni ’80 ma che spiegavano lo scivolamento del fianco del vulcano verso il mare come il risultato dei movimenti magmatici. Le nuove rilevazioni hanno dimostrato come «le dinamiche relative all’attività del magma non possono essere le uniche responsabili del modello di deformazione osservato» e che in generale «i risultati indicano che la pendenza sta scivolando a causa della gravità e non a causa dell’aumento del magma».

IL “CASUS BELLI”. Sempre secondo quanto riportato dall’articolo, se le dinamiche magmatiche possono innescare “slope failures” lungo i percorsi magmatici, «la deformazione gravitazionale radicata in profondità può indurre un collasso catastrofico come nei casi di Mombacho, Kilauea, altri vulcani hawaiani e Ritter Island, Papa Nuova Guinea. […], implicando che il movimento del fianco dell’Etna rappresenta un rischio molto maggiore di quanto si pensasse in precedenza», e aggiungendo che «i crolli catastrofici dei vulcani delle isole oceaniche o quelli costruiti sul litorale rappresentano la più grande minaccia poiché l’improvviso spostamento di grandi quantità di materiale nell’acqua può innescare tsunami con effetti estremi».

LE REAZIONI. Quando il tabloid britannico “Daily Star”, che ha diffuso la nuova scoperta insieme a numerosi altri media, è ricorso all’immagine del Tower Bridge di Londra investito da uno tsunami con la didascalia che titolava “WARNING: It is feared Mount Etna could trigger a devastating tsunami”, è sorta immediata l’urgenza di una smentita da parte della comunità scientifica.

Il fotomontaggio del Tower Bridge di Londra investito da uno tsunami, apparso sul tabloid britannico “Daily Star”,

In un lungo post su Facebook, il direttore della sezione di Catania dell’INGV Eugenio Privitera ha tenuto a precisare che «è noto sin dagli anni ’80 che il fianco orientale dell’Etna stia scivolando verso lo Ionio e nel corso di questi anni si sono raccolte prove sempre più stringenti che rendono, ormai, questo carattere del nostro vulcano una delle sue peculiarità fondamentali». Sempre per mezzo dei social, il vulcanologo dell’INGV di Catania Boris Behncke, ha affermato che «stiamo parlando di eventi estremi, e penso sappiamo tutti bene che gli eventi estremi sono anche quelli statisticamente meno probabili. Auto-terrorizzarci per lo scenario remoto di un mega-collasso e mega-tsunami dell’Etna, mi pare esagerato».

Persino Morelia Urlaub, principale autrice dello studio, con un breve intervento su twitter, ha affermato di sentirsi solamente «triste che la vera scienza sul giornale venga sepolta da tutti questi titoli spaventosi», rivendicando il fatto di essere finalmente in grado «di documentare il movimento del fianco subacqueo dell’Etna-che è un incredibile successo tecnologico e scientifico».

IL “SOLITO CIRCO” DEI MEDIA? È quindi bastato solo questo nuovo importante elemento per (ri)lanciare un allarme già noto, scatenando quello che è solitamente definito “il circo dei media? Non proprio.
Un paio di osservazioni fanno supporre come alcuni elementi presenti nella comunicazione della nuova ricerca siano quantomeno ambigui.

La comunicazione ufficiale sul sito del Geomar relativo alla pubblicazione dello studio su “Science Advances”

È stato soprattutto l’intervento della professoressa Heidrun Kopp, coordinatrice del team “GEOMAR Helmholtz-Zentrum für Ozeanforschung” di Kiel che ha realizzato l’articolo, a indirizzare a facili strumentalizzazioni dello studio. È sua infatti l’affermazione, ripresa da numerosi media, secondo cui «l’intera pendenza del vulcano è in movimento a causa della gravità, quindi è del tutto possibile che possa collassare in modo catastrofico, provocando uno tsunami in tutto il Mediterraneo». Ma c’è di più. Per promuovere la nuova pubblicazione scientifica, lo stesso sito ufficiale Geomar, come sottotitolo all’articolo “Etna: il nuovo sistema di misurazione dimostra lo slittamento del versante sud-est”, recita: “Anche il fianco vulcanico si muove sott’acqua – lo tsunami come conseguenza”.

QUALE VERITÀ? Come detto, i movimenti del versante sud-orientale dell’Etna non sono nuovi alla comunità scientifica, le prime ipotesi furono presentate già nel 1992 nella pubblicazione “Importance of gravitational spreading in the tectonic and volcanic evolution of Mount Etna”. Gli studi più recenti hanno avuto il merito di affrontare il tema dello scivolamento del vulcano spostando l’attenzione dalla superficie al mare, lungo la scarpata ibleo-maltese: «È come se il vulcano lì non avesse i piedi», ha spiegato Alessandro Bonforte, tra gli autori della nuova pubblicazione.


IL VERDETTO

Le ipotesi di un “collasso del versante” e di un conseguente “pericolo tsunami” sono quindi remote, ma possibili. Riguardo le tempistiche gli esperti non si sbilanciano in previsioni, limitandosi a sottolineare come attualmente le misurazioni utilizzate non siano in grado di fornirci informazioni a riguardo: «Non possiamo prevedere se e quando l’Etna provocherà uno tsunami – ha aggiunto all’ANSA Francesco Guglielmino – lo scivolamento verso il mare avviene sia in presenza che in assenza di eruzioni e il suo motore non è quindi nel cono vulcanico, ma in mare. È necessario progettare una nuova rete di sensori acustici e transponder per monitorare in dettaglio le deformazioni dell’Etna, non solo sui fianchi ma anche sott’acqua».
L’unica indicazione resta quindi quella di monitorare costantemente i movimenti dell’Etna, prestando attenzione a eventuali accelerazioni dello scivolamento del fianco sud-orientale. Probabilmente il fatto che l’articolo sia stato pubblicato su una rivista autorevole come “Science Advances”, e qualche dichiarazione avventata hanno contribuito a “gonfiare” il caso.

La dichiarazione merita un “Menzu menzu”


IL NOSTRO VERITOMETRO

A virità (dichiarazione reale)
Ppì tanticchia (pressappoco veritiera)
Menzu menzu (approssimativa)
Stamu babbiannu? (di dubbia attendibilità)
Bella minchiata (vistoso strafalcione)

Il nostro impegno è offrire contenuti autorevoli e privi di pubblicità invasiva. Sei un lettore abituale del Sicilian Post? Sostienilo!

Print Friendly, PDF & Email