Ulisse allInferno: questo è il titolo dello spettacolo itinerante prodotto da Officine Culturali che si svolge all’interno delle cantine settecentesche del monastero. Gli elementi naturali e le architetture moderne e contemporanee che le caratterizzano forniscono un palcoscenico ideale per rappresentare la discesa di Ulisse nel mondo sotterraneo, dando a chi assiste la possibilità di identificarsi con il protagonista addentrandosi metaforicamente nel proprio inferno – un’azione che Cesare Pavese avrebbe ritenuto necessaria alla stessa sopravvivenza dell’essere umano.

DALLA GRECIA ALLA SICILIA. Ma cosa rende davvero possibile la nostra identificazione con Ulisse? Lo abbiamo chiesto ad Angelo D’Agosta, regista, attore e autore teatrale che, ha dato vita a questo percorso teatrale pronto a muoversi diacronicamente e sincronicamente nel tempo e nello spazio. «Quando porto in scena i miei spettacoli – ha raccontato al Sicilian Post – cerco di instaurare con ogni pubblico un rapporto diverso: mi piace osservare le loro sensazioni ed emozioni, scrutando i loro volti e interagendo con loro. Prestare attenzione a questi elementi mi dà la possibilità di rappresentare di volta in volta una storia nuova, in cui modifico passaggi di scena, parole, ritmo e toni in base a chi ho di fronte e al suo modo di entrare nel vivo della rappresentazione». Prendiamo, per esempio, l’incontro fra Ulisse e sua madre Anticlea, che l’eroe incontra dopo il vaticinio dell’indovino Tiresia: l’idea di Agosta è che la donna si rivolga al figlio con una voce che lui definisce «antica», nel senso più ancestrale del termine. «Anticlea parla la lingua degli antenati per ritrovare un legame con Ulisse, una confidenza che ognuno riconosce dentro le mura di casa propria. Per rappresentarla ho quindi fatto ricorso al siciliano, che con la sua potenza evocativa e affettiva mi è venuto in soccorso. Non ho inventato nulla: ho solo trasformato la struttura sintattica e le frasi intrecciate del poema omerico tradotto in italiano da Ettore Romagnoli in un canto nostrano».

Angelo D’Agosta in “Ulisse all’Inferno”

ULISSE, UN EROE AMBIGUO. Un’operazione attraverso cui D’Agosta rende omaggio alla terra che gli ha dati i natali sia come uomo sia come artista, e nella quale ha vissuto le prime tappe della sua carriera. Proprio nel capoluogo etneo infatti, D’Agosto ha debuttato come autore e regista teatrale a 22 anni, laureandosi poco dopo in Scienze della Comunicazione presso l’ateneo catanese (nello stesso monastero nelle cui cantine passa adesso ore e ore a provare il suo spettacolo). Dopo l’Università, si è poi diplomato presso la Scuola D’Arte Drammatica U. Spadaro del Teatro Stabile di Catania, diventando il più giovane artista scritturato da quest’ultimo ente ad avere rivestito i panni di regista e protagonista nella stessa produzione, per proseguire successivamente la sua carriera in numerosi teatri e anfiteatri italiani nel ruolo dei personaggi più disparati, approdando ora alla figura di Ulisse. Con lui, ci rivela D’Agosta, ha un rapporto particolare: «Non provo un amore assoluto nei suoi confronti, ma critico. Voglio dare di lui una visione antieroica, dalle tinte per così dire pascoliane. Ulisse, in determinate circostanze, si rivela infatti una carogna, essendo spesso più furbo di chi lo circonda – e, se ci pensiamo bene, non incarna l’archetipo dell’eroe puro, prestando il fianco a un’ambiguità che mi diverte particolarmente interpretare».

«Qualunque pavimento può diventare un palcoscenico, perché esiste tuttora una “necessità di teatro” che prescinde dal luogo in cui una rappresentazione prende forma»

OGNI PAVIMENTO È UN PALCOSCENICO. Ulisse all’Inferno, che vede tornare in patria l’artista dopo il debutto a Buenos Aires, è andato sold-out nel giro di 24 ore in tutte le sue undici repliche: «Non avevamo previsto una tale risonanza – è il commento di D’Agosta – perché parliamo di una rappresentazione dai tratti essenziali, in cui ci siamo soltanto io e le mie maschere. Eppure, il nucleo di Officine Culturali si è fidato di me fin dall’inizio e, vuoi anche per il rapporto di stima fraterna che ci lega, ha fatto di tutto affinché portassimo in scena questa idea. In un periodo in cui la gente non va quasi più a teatro, ricevere questa fortuna da parte della produzione e questa risposta da parte del pubblico è un risultato davvero significativo». E a chi pensa che il teatro coincida con una sala dalle poltrone di velluto rosso, D’Agosta replica: «Qualunque pavimento può diventare un palcoscenico. È stato così per secoli, anche se poi con l’imborghesimento dell’età moderna abbiamo iniziato a dimenticarcene. Ma la verità, secondo me, è che tuttora esiste una “necessità di teatro” che prescinde dal luogo in cui prende forma. L’importante è che siano presenti tre elementi: una storia, qualcuno che la ascolta e qualcuno che sia disposto ancora e ancora a farle riprendere vita».

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