La sfortunata storia della ragazza è considerata il simbolo di una città che non si piega dinanzi all’infuriare della dominazione. I resti del pozzo sono rinvenibili nei pressi del Castello Ursino

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]C[/dropcap]ala li manu si mi voi pi zzita, l’ura di stari ‘nzemi ‘un è vinuta: si cchiù mi tocchi, comu Gammazita, mi vidi ‘ntra lu puzzu sippilluta». Al giorno d’oggi, è a dir poco improbabile che una fanciulla dedichi al suo amato una poesia di tal genere. I tempi sono fortemente cambiati e con essi anche quel comune senso del pudore che in epoche più antiche prevedeva regole più stringenti nel rapporto tra due fidanzati. Eppure, dietro queste parole si racchiude molto più della fantasia di un Anonimo poeta. Questi versi, intrisi di amore e morte, fanno riferimento ad una leggenda molto cara al popolo catanese. La protagonista è una fanciulla di nome Gammazita e il luogo che fa da scenografia a questa vicenda è una fonte, diventata un pozzo artificiale, che è possibile ancora oggi rinvenire nei pressi del Castello Ursino, al civico 17 di via S. Calogero.

La vicenda che stiamo per raccontare è ambientata in un’epoca di continue guerre, di tumulti e ribellioni. Sappiamo che fin da tempi molto antichi la Sicilia è stata preda di invasioni da parte di popoli stranieri. Tale era la situazione intorno al 1282 d.C., allorquando i Siciliani organizzarono una sommossa per respingere la dominazione francese degli Angioini. L’evento, passato alla Storia come Guerra del Vespro, fa da contorno ad una leggenda ambientata in territorio catanese. Secondo quanto ci è stato tramandato nei racconti popolari, una fanciulla di nome Gammazita, bellissima e di grande virtù, divenne oggetto di attenzioni da parte di un soldato francese. La giovane donna , proprio nel giorno del suo matrimonio, si recò come di consueto a prendere l’acqua presso una sorgente. Fu così che il soldato la seguì e la aggredì violentemente. Gammazita, rendendosi conto di non avere più via di scampo, decise di lanciarsi all’interno del pozzo.

La sfortunata storia di Gammazita, che è comunque considerata il simbolo di una città, come Catania, che non si piega dinanzi all’infuriare della dominazione, è stata più volte rimaneggiata nel corso dei secoli, rendendola quasi un romanzo. Un’altra versione della leggenda vuole far risalire il nome Gammazita all’unione di due parole: Gemma e “zita”. Tutto questo in onore del fidanzamento tra la ninfa Gemma e il pastore Amenano, anch’esso finito in disgrazia per via della gelosia manifestata dalla dea Proserpina nei confronti della ninfa, che venne trasformata in una sorgente. Gli dei, colpiti dalla disperazione di Amaseno o Amenano, che dir si voglia, trasformarono anche lui in una fonte e così il pozzo è divenuto il punto dove i due amanti possono incontrarsi. Ma il novero delle leggende che si raccontano intorno al nome Gammazita non si esaurisce di certo qua.

Il celebre pozzo che fa da scenografia a queste vicende, non costituisce più lo sbocco di una fonte naturale. Infatti, in seguito all’imponente colata lavica del 1669, la cavità fu sommersa e il pozzo prosciugato. Vista comunque l’importanza della fonte nel contesto dell’economia cittadina, già intorno alla metà del XVIII secolo, la sorgente fu riportata alla luce. Il relativo impianto idraulico non era più di origine naturale, caratteristica che conserva ancora oggi. Purtroppo la massiccia edificazione di case popolari avvenuta verso la fine dell’Ottocento e l’incuria dei cittadini, hanno notevolmente deturpato le fattezze esteriori del pozzo. Attualmente, per potervi accedere è necessario percorrere una scala di sessantadue gradini, visto che la struttura si trova ad un livello di circa 12 metri sotto il manto stradale. Ai viaggiatori in cerca di Gammazita vengono mostrate le tracce del suo sangue: in realtà non sono altro che le macchie di ruggine lasciate dall’incessante scorrere dell’acqua. Vero o falso che sia il mito continua ad affascinare.

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