Sebbene in un Teatro ancora oggi al centro di mille difficoltà affidare l’apertura del cartellone a un Requiem (e quindi a una messa funebre) possa sembrare una scelta simbolicamente poco felice, l’idea di lanciare la stagione 2019 nel segno di Mozart ha senza dubbio ripagato le aspettative del Teatro Massimo Bellini. La “prima delle prime” con il Requiem in re minore, per soli, coro e orchestra, K 626, andata in scena a inizio mese non solo ha fatto registrare il tutto esaurito, ma ha anche generato una sana aspettativa per il Flauto Magico che debutterà il prossimo 20 gennaio, con lo stesso direttore e solisti. Tra il pubblico non sono mancati i giovani, che hanno affollato la galleria grazie alle riduzioni a 2 e 7 euro e, dopo il concerto, si sono ritrovati in piazza a commentare entusiasti l’esperienza. «Non ero mai stato a Teatro – racconta il 21enne Alessandro – e la prima impressione è stata molto positiva. Non sapevo bene cosa aspettarmi, ma poi mi sono reso conto che conoscevo già alcune parti come il Dies Iræ e Lacrimosa».
Quando gli chiediamo cosa pensi del cartellone che sta scrutando dal banner appeso sul prospetto del Teatro, confessa di essere più interessato ai classici che alle novità. «Di solito ascolto musica totalmente diversa, come l’elettronica, quindi per me la classica rappresenta già qualcosa di nuovo. Penso che il repertorio del ‘700 e dell‘800 sia quello più interessante». Non dissimile il parere del suo amico Fulvio, che invece il teatro lo frequenta da sempre. «Al Bellini sono praticamente cresciuto, complice il fatto che mio padre lavora qui. Invito spesso i miei amici perché mi fa piacere far conoscere loro qualcosa di nuovo. Il cartellone che vorrei? Penso che si potrebbe sperimentare un po’, ma fondamentalmente il Teatro è la casa dell’opera e della classica».

RIPENSARE IL CARTELLONE.Quale strategia è in atto al Bellini per allargare il suo pubblico? Se l’esperimento della Capinera del duo Bella e Mogol, sul quale il Teatro ha fatto un investimento da un milione di euro (come unica produzione della scorsa stagione) doveva essere – perlomeno nelle premesse – la svolta per avvicinare le nuove generazioni, come si giustifica la scelta di puntare nel 2019 su un cartellone che (fatta eccezione per Night Garden di eVolution dance theater, peraltro non ascrivibile al balletto in senso stretto) osa ben poco, pur prefiggendosi di offrire “Il Massimo della musica”? Forse bisognerebbe interrogarsi maggiormente su cosa i giovani si aspettino da una realtà come il Bellini.

RAGIONI STORICHE. Per affrontare il problema è opportuno partire da ragioni storiche, che naturalmente travalicano l’esperienza catanese e sono valide per qualsiasi contesto occidentale. Passata di moda la frequentazione dei teatri lirici come status symbol – con i quarantenni di oggi che preferiscono le stagioni di jazz, mutato contestualmente da musica popular a musica d’arte – e con un’educazione musicale confinata a pochissime ore nella scuola dell’obbligo (totalmente inesistente nei licei classici e scientifici), diventa inevitabile il fatto che più generazioni di giovani adulti oggi abbiano una conoscenza non solo superficiale e della Classica, ma anche confinata esclusivamente ad alcuni grandi capolavori del ‘700 e dell’800. Come meravigliarsi dunque se, di fronte a una proposta di cartellone, indichino le opere più famose tra le loro aspettative?

PIÙ OPPORTUNITÀ PER I GIOVANISSIMI. Diversa la situazione per quanto riguarda i giovanissimi. Paradossalmente, per certi versi, sono forse oggi più le speranze di fare appassionare al mondo del teatro e della musica un ragazzino di un quartiere popolare come Librino, dove esiste ed insiste un progetto come l’orchestra Musicainsieme, che un venticinquenne universitario. E se gli adolescenti di oggi possono contare sulla presenza di licei musicali e programmi di alternanza scuola-lavoro per scoprire in maniera esperienziale, coloro che oggi hanno tra venti e trent’anni inevitabilmente sono lontani da quel mondo, a meno che non vi siano stati introdotti dalla famiglia o dagli amici.

SOLO UN PROBLEMA DI COMUNICAZIONE? «Credo che il Teatro sia un po’ carente sul piano della comunicazione rivolta ai giovani. Probabilmente molti non sanno che sentire un concerto costa meno di andare al cinema». Spiega il ventenne Emanuele, che confessa di aver saputo delle promozioni grazie a un amico e aggiunge che «in fondo non ci vorrebbe molto: ad esempio il teatro non esiste su Instagram». In realtà il Teatro Bellini sui vari social è presente e, nonostante risorse limitate, funziona. Non solo il profilo Instagram lavora molto sulle “storie” (nuova frontiera del social delle immagini), ma la pagina Facebook cresce in maniera organica giorno dopo giorno, interagendo in maniera costante con gli utenti, fornendo informazioni su prezzi e scontistiche e proponendo approfondimenti dalle varie testate giornalistiche che parlano del teatro.


LONTANO DAGLI INTERESSI DEI GIOVANI. Perché allora questa percezione di un’assenza dell’istituzione su questi canali? Probabilmente perché il concetto stesso di Teatro non figura tra i gli interessi dei più giovani. In altre parole: non solo non viene loro spontaneo pensare di cercare la pagina del Bellini su Instagram, Facebook o Twitter, ma danno per scontato che per la natura stessa dell’ente, questa presenza non esista. Come raggiungerli dunque? Chiaramente un problema che riguarda il modo in cui la società tutta si approccia all’educazione alla musica non può essere risolto semplicemente con un buon piano di comunicazione, ma una strategia più orizzontale – ancorché fatta senza grandi esborsi economici – potrebbe agevolare questo processo. Ad esempio con una presenza massiva nelle bacheche delle università (specie in ambito scientifico, dove non si studia storia della musica) di volantini che promozionino sic et simpliciter “Il Teatro a due euro”, o con delle sponsorizzazioni su social come Facebook, mirate a un pubblico che non ha già un interesse verso la classica. Se è vero, insomma, che oggi bisogna ragionare in termini di pubblici (al plurale), quello dei giovani è tutto da costruire.

L’IMPATTO DEL NUOVO PUBBLICO. Coinvolgere i giovani a Teatro significa andare al di là delle logiche economiche per le quali senza un ricambio generazionale non ci sarà sostenibilità. Le implicazioni sono più complesse. Quando si parla delle prospettive future del Bellini probabilmente sono due le azioni da intraprendere: in primis prendere per mano le generazioni nuove e trovare il modo di ricucire lo strappo che interessa la fascia dei venti-trentenni. Sarà fondamentale portare nuovo pubblico a teatro non solo “una tantum”, grazie alla presenza in cartellone di opere famosissime a prezzi stracciati per gli studenti, ma garantirsi una presenza costante che possa tramutarsi in un pubblico davvero competente, con il quale instaurare un rapporto di dialogo, rendendolo partecipe della maturazione del suo stesso Teatro.

INNOVARE NEL SEGNO DELLA TRADIZIONE. Dopodiché, una volta ricostruito un pubblico vero, sarà possibile ragionare sul posizionamento che un Teatro come il Bellini può e deve avere in un contesto nazionale e internazionale. È davvero la Capinera, con i suoi risvolti “pop” e la città presentata come una cartolina, il modello su cui puntare? Oppure, viceversa, sarà una programmazione orientata ai grandi classici a portare il Bellini fuori da una prospettiva provinciale? Certamente fare un salto di qualità per rientrare in un “primo circuito internazionale” non è facile, ma appare evidente che la prospettiva di «ottimo per essere fatto a Catania», non possa essere quella vincente per la città del Cigno. La quale peraltro fino a ora ha dimostrato di saper trattare Bellini più come un brand da spendere nei nomi di ristoranti e pizzerie che come una vera opportunità d’eccellenza, convergendo ad esempio su un festival belliniano degno di questo nome. Del resto, cosa significa davvero innovare, se non valorizzare un’identità, che nel caso del Bellini rappresenta il suo valore più prezioso?

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