Abbiamo incontrato il grande disegnatore, apprezzato da molti come erede di Carl Barks, in occasione di Lucca Comics 2019: «Non mi piaceva che Zio Paperone venisse descritto solamente come un avaro. A me interessava descrivere un personaggio avventuroso»

Occhiali tondi dalla montatura leggera, capelli bianchi e radi sul capo. Don Rosa, sembra il ritratto umano del personaggio che lo ha reso celebre, Paperon de’ Paperoni. Il personaggio, nato dalla matita di Carl Barks è stato infatti protagonista di molte sue storie e della “Saga” che ne ripercorre le avventure. Oggi l’artista 68enne è riconosciuto come uno dei più importanti disneyani, ma già 12 anni fa, dopo anni di onorata carriera ha deciso di abbandonare il mondo di Paperopoli. «Il “sistema Disney” è quello che distrutto la mia passione per il mondo della narrativa. Non mi sono mai pentito di aver preso la decisione di smettere e oggi continuo a disegnare per i miei fan. A volte sto allo stand anche dieci ore di fila a firmare autografi».

«La gente pensava che fossi milionario, ma tutti i diritti non sono in mio possesso. Oggi ho registrato il mio nome e ho il controllo dei miei lavori»

UNA QUESTIONE DI COPYRIGHT. Per salvaguardare le sue opere e riprendersi una rivincita dalla multinazionale statunitense, che detiene i diritti d’autore su paperi e topi, Don Rosa ha deciso di mettere un copyright sul suo nome, preservandolo così dal merchandising dei calendari, vestiti ed altro che a suo dire non fanno che snaturare il suo lavoro: «Mi anima un senso di rivincita. La Disney sfruttava l’amore per il mio lavoro utilizzando il mio nome per prodotti su cui io non avevo il controllo. La gente pensava che fossi milionario, ma tutti i diritti sono loro. Adesso quando cercano di rendere delle storie più infantili, per renderle più fruibili ai bambini che secondo loro non capirebbero, possono farlo ma senza il mio nome».

Il fumettista americano Don Rosa
Don Rosa

DA APPASSIONATO A SUPERSTAR DEL COMICS. Ma chi è Don Rosa? A Lucca è stato accolto come una vera celebrità, ma come lo è diventato? «Sono cresciuto con il bisogno di raccontare storie, vivevo in campagna e facevo un miscuglio di vecchi film e fumetti, le mie passioni. Al liceo e al college queste avventure sono diventate storie che scrivevo con gli amici, poi fanzine. Non avevano un ritorno economico, lo facevo per passione. Lavoravo nell’azienda edile di mio padre, che veniva da Maniago, in Friuli Venezia Giulia. Poi il sogno della mia vita è diventato realtà. In Europa mi è stato chiesto di continuare il lavoro di Carl Barks. Stentavo a crederci e mi meravigliai di quanta attenzione il vecchio continente prestasse ai paperi. Non immaginavo che li avrei disegnati per 20 anni. La mia prima storia, Zio Paperone e il figlio del sole, in Italia, vinse l’Harvey Awards, così scrissi anche la seconda e decisi di lasciare l’azienda di mio padre.

L’IDENTITÀ DEL PERSONAGGIO. Quando gli si domanda chi sia per lui Zio Paperone, Don Rosa non esita a rispondere: «Non mi piaceva che venisse descritto solamente come un avaro. Un mio amico italiano mi ha rivelato che da voi è l’aspetto più significativo, ma il mio Zio Paperone è più interessato a collezionare trofei. Lo stesso denaro lo è, è il risultato delle sue avventure, il suo vero guadagno».

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