«Sono arrivato in Sicilia all’inizio di quest’anno. Non l’ho fatto, però, come la maggior parte dei migranti, attraverso i barconi. Io sono arrivato con un contratto». Negli ultimi mesi, la questione degli sbarchi africani sulle nostre coste è tornata ad occupare con forza gli spazi del dibattito pubblico. Il motivo? Il cambio di provenienza di gran parte di quei flussi. Se, infatti, fino a qualche tempo fa era la Libia il luogo di partenza deputato, oggi quel poco felice primato spetta alla Tunisia, che a causa della profonda crisi economica ed istituzionale rischia di fare un salto indietro nel tempo, a prima delle Primavere Arabe. Fra i tanti tunisini approdati nel nostro Paese di recente, c’è anche Adel, 26 anni e una laurea in economia.

Quando gli chiedo di raccontarmi la sua storia, non ha una gran voglia di parlare. Ma il fatto che io sia di origine marocchina e che condivida con lui l’arabo pian piano lo aiuta ad aprirsi. È dal suo racconto che capisco in quale situazione versa la Tunisia attualmente. E come funzionano questi arrivi “alternativi” in Italia.

«Due amici mi hanno passato il contatto
di un “broker” che vendeva contratti lavorativi.
Il contratto costava qualche migliaio di euro e allora ho deciso di usare i miei risparmi e rischiare»

«Nonostante la mia laurea – spiega – non sono riuscito a trovare lavoro. Nel mio paese la disoccupazione ha numeri davvero elevati: così, per sopravvivere, ero costretto a fare più lavoretti saltuari contemporaneamente. A 2 anni dalla laurea ho capito che il mio futuro non sarebbe stato diverso da quello di quasi tutti i giovani tunisini. Quindi, ho iniziato a pensare di raggiungere l’Europa. Due miei amici erano riusciti a trovare contratti di lavoro in Italia e mi avevano invitato a raggiungerli».

È così che sei arrivato in Italia?
«Questi amici mi avevano passato il contatto di un ‘broker’ che vendeva contratti lavorativi per poter arrivare in Italia in modo regolare. Il contratto costava qualche migliaio di euro e allora ho deciso di usare i miei risparmi e rischiare; per essere sicuro ho dato solo la metà dei soldi, con l’accordo che, una volta trovato lavoro, avrei saldato la restante parte».

«Rivolgersi agli scafisti non è l’unico modo per compiere una traversata. Gruppi di ragazzi acquistano dei barconi, studiano la rotta per Lampedusa e partono, sperando di superare i controlli della guardia costiera tunisina»

Com’è stato l’impatto con la nuova realtà? Come ti sei dato da fare una volta emigrato?
«Ho iniziato a lavorare nei terreni agricoli. Non mi aspettavo che avrei faticato così tanto: gli orari di lavoro erano molto pesanti, si lavorava dall’alba fino al tardo pomeriggio. In Tunisia non avevo mai lavorato la terra. Per di più, non sapevo nemmeno comunicare bene con gli italiani, perché non conoscevo affatto la lingua. Fare il bracciante di sicuro non era la mia aspirazione. Prendevamo pochi soldi per quello che lavoravamo, meno di 600€, in quanto vitto e alloggio erano inclusi nel contratto. Quando è scaduto ho deciso di provare a cambiare mestiere. Ma mi venivano proposti sempre lavori agricoli e questo ha influito pesantemente sulle mie difficoltà di integrazione. Alla fine ho cominciato a lavorare con un muratore, e lentamente ho iniziato a parlare un po’ l’italiano».

Come ci si organizza, di solito, per attraversare il Mediterraneo alla volta dell’Europa?
«Da quello che so, rivolgersi agli scafisti non è l’unico modo per compiere una traversata. Capita spesso che gruppi di amici o conoscenti si riuniscano e studino la rotta per raggiungere Lampedusa. Acquistano dei gommoni o delle piccole imbarcazioni, controllano le previsioni del meteo e poi iniziano il loro viaggio. È opinione diffusa che il maggiore ostacolo sia quello di superare le acque controllate dalla guardia tunisina, e che, in seguito, si abbia più del 50% di possibilità di arrivare in Italia. Usano dei GPS: se non affondano, sanno quale direzione seguire. A partire sono spesso giovani che non hanno raggiunto i 30 anni e che quando arrivano iniziano a mandare delle somme di denaro alla propria famiglia, cercando un modo per far venire anche il fratello più piccolo o un familiare».

A cosa è dovuto l’aumento esponenziale degli arrivi dalla Tunisia?
«Prima il mio paese era solo un punto di passaggio per l’Europa, perché molti, soprattutto persone provenienti dall’Africa sub-sahariana, preferivano partire dalla Libia. Nell’ultimo anno, però, anche noi tunisini abbiamo cominciato a partire, spinti dalla crisi economica. Gli aiuti che arrivano dal Fondo Monetario e dalla UE non sono sufficienti per sostenere l’economia tunisina né per rafforzare i controlli della guardia costiera. Se l’economia tunisina non conoscerà una ripresa, gli arrivi sono destinati ad aumentare ancora».

Pensi mai di voler tornare in Tunisia? Vedi l’Italia come una soluzione definitiva per costruire il tuo nuovo futuro?
«In questo momento non desidero rientrare in Tunisia. Ho lasciato la mia patria perché ero in cerca di una stabilità economica che adesso non può darmi. Chissà, magari in futuro, ammesso che la Tunisia da qui a qualche anno sia diversa. In Italia non posso far valere il mio titolo di studio. In futuro penso di spostarmi in Francia, dove la mia conoscenza della lingua potrà darmi ulteriore sbocco lavorativo».

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