Il debutto di Carlo Festa, cantautore di Motta Sant’Anastasia che si identifica nel protagonista della commedia di Rostand, «ma nella versione di Guccini». Dai cortei contro le discariche al primo capitolo di una storia musicale che ha gli ultimi per protagonisti

Quando, al termine di una manifestazione di protesta contro la discarica di Valanghe d’inverno, nel Catanese, fra Misterbianco e Motta Sant’Anastasia, vide la gente applaudire la canzone che aveva appena eseguito sul palco in piazza, nelle orecchie sentì echeggiare le parole di una canzone di Francesco Guccini: “Venite pure avanti, voi con il naso corto, signori imbellettati, io più non vi sopporto, infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio perché con questa spada vi uccido quando voglio”.

Era il febbraio del 2015. Quel giorno Carlo Festa, classe 1990, di Motta Sant’Anastasia, diventò Cyrano, da pronunciare alla Guccini, senza l’accento finale alla francese. La sua penna è intrisa di poesia e letteratura, di quei libri che divora («e che ho divorato ancora di più in questo periodo di clausura»), la sua spada è una chitarra affilata da sfoderare contro “politici rampanti, ruffiani e mezze calze, feroci conduttori di trasmissioni false”. Quel giorno Carlo Festa cantò La ballata di Tiritì, dal nome della contrada che ospitò la prima contestata discarica. Canzone che farà parte del disco d’esordio del giovane «giocoliere di parole», definizione che preferisce a quella di cantautore: «Mi sembra ancora prematuro essere paragonato a maestri come Guccini o Claudio Lolli» si schermisce.

«Con il singolo Promessa ho provato ad immedesimarmi nella condizione dei migranti: perché spingersi così oltre la normale percezione di pericolo? La risposta risiede nell’amore»

Ad annunciare il debutto discografico, le fragili e delicate barchette di carta realizzate con lettere di migranti, protagoniste del poetico videoclip firmato da Luca Condorelli, e il singolo intitolato Promessa: «Un racconto politicamente sentimentale», spiega. «È una canzone che racconta l’amore ai tempi delle migrazioni e delle innumerevoli morti inaccettabili nel Mediterraneo. Ho provato ad immedesimarmi nella loro condizione; pronti a salpare verso un orizzonte nero come la lunga notte che li avrebbe attesi, silenziosa e oscura. Perché spingersi così oltre la normale percezione di pericolo? Se è davvero l’amore il vero motore immobile universale, risiede lì l’unica risposta».

L’amore e la lotta. Come Cyranò, questo con l’accento, il personaggio della commedia di Edmond Rostand. Perché Carlo Festa non fa parte della numerosa schiera di “poeti sgangherati, inutili cantanti di giorni sciagurati, buffoni che campate di versi senza forza avrete soldi e gloria”. «Sono un ruminatore di dubbi, non ho mai scritto canzoni di carattere personale o sentimentale», tiene a precisare. Sin dall’Ep Proemio, «un progetto corale, nel quale non ero però l’unico protagonista», nel quale canta Telemaco, il figlio di Ulisse in cerca di “un luogo lontano in cui il metallo delle armi sia stato già riciclato” e si augura che dallo scontro militare si passi all’abbraccio solidale tra Occidente e Oriente. Telemaco sarà anche colonna portante dell’album di debutto: «È la mia interpretazione del libro “Il complesso di Telemaco” di Massimo Recalcati», chiarisce Carlo Festa.

La copertina dell’album. Foto di Alessia Sparacino

Atto I: il faro dei perduti è il titolo del disco. «Perché vedo ogni album come il capitolo di una storia. Non a caso, l’Ep è intitolato Proemio». Un progetto che presuppone un impegno letterario e stilistico, oltre che musicale. Gli ultimi sono i protagonisti di questo primo atto. Fra questi anche i giovani, privi di punti di riferimento, orfani di maîtres de la pensée. «I dimenticati sono tutti vittime dell’indifferenza. Non soltanto migranti, senzatetto o disoccupati. È una condizione trasversale. Anche un ricco può essere tra i “perduti”».

Se Proemio è più legato al suo «maestrone» Guccini, con il singolo Promessa Carlo Festa prende il largo verso sonorità più contemporanee. L’autore della Locomotiva si intreccia e si confonde con Niccolò Fabi e Brunori Sas, Nick Cave e Franz Joseph Haydn. Violini e viole si incrociano con elettronica e sintetizzatori. «Unire atmosfere classiche a sonorità contemporanee è un obiettivo che ho inseguito per imprimere un carattere personale ai miei brani», sottolinea Carlo Festa, uscito dal Conservatorio Vincenzo Bellini con un diploma di didattica musicale. Sperimentazioni sonore, che, nell’incontro con le parole, creano un nuovo immaginario visivo. Una forma-canzone profonda, provocatoria, complessa e imprevedibile.

«Oggi è difficile rintracciare una canzone generazionale. Ci si rivolge all’individuo piuttosto che alle masse. Per questo motivo non può esserci un’altra Bella Ciao o un nuovo De André»

Il cantautore di Pavana non solo ha suggerito il nome d’arte, ma è una sorta di guida spirituale per Carlo Festa. La canzone Ho ancora la forza, ad esempio, ha un ruolo importante nella vita del Cyrano catanese. «È stato il primo pezzo con il quale mi sono affacciato sul vastissimo canzoniere del Maestrone ed è stata una canzone che ha strattonato la mia infanzia, mi ha scosso nei momenti di affanno (e continua a farlo), mi ha infuso coraggio quando sembrava avessi soltanto da perdere. È stata la prima, vera, canzone contro la paura a. B. (avanti Brunori)», racconta l’autore di Motta Sant’Anastasia. Che si riconosce nel verso che recita: “E ho ancora la forza di chiedere anche scusa / O di incazzarmi ancora con la coscienza offesa / Di dirvi che comunque la mia parte / Ve la posso garantire”.

Insomma, il Cyrano siciliano “all’amo non abbocco e al fin della licenza io non perdono e tocco, io non perdono, non perdono e tocco!”. Quando tutti si rinchiudono nel proprio mondo intimo e personale, Carlo Festa ha ancora la forza di guardarsi attorno e di raccontare la realtà per fare aprire gli occhi anche agli altri. «Oggi, in un mercato musicale così caotico, è difficile rintracciare una canzone generazionale», commenta. «Ci si rivolge all’individuo, piuttosto che alle masse. Per questo motivo non può esserci un’altra Bella Ciao, né un nuovo Fabrizio De André. I nuovi cantautori parlano alla tua esistenza, al singolo, come se rivestissero i panni di psicanalisti con la chitarra».

«Ho provato a fare concerti in streaming, ma mi sentivo a disagio a esibirmi davanti ad uno schermo. Non esistono surrogati dei concerti “live”, devi vedere il pubblico davanti a te»

Alla poltrona dello psicanalista, Carlo Festa preferisce le barricate, vuole essere provocatorio e dissacratorio. «Pensa che quando cominciò la clausura l’accolsi con un forte slancio emotivo schopenauriano, mi sentivo compartecipe di una storia molto grande dalla quale dipendevano le sorti del mondo. Poteva essere un momento di riflessione, di confronto, di cambiamento. Poi è subentrata la disillusione. Il mondo non cambiava. Così anche la decisione di alzarmi e di non restare in pigiama, ma vestirmi come se uscissi, ha cominciato a svuotarsi. Ho letto moltissimo, ho scritto canzoni, alcune belle, altre brutte. Ho anche provato a fare concerti in streaming, ma mi sentivo a disagio a esibirmi davanti a uno schermo. Non esistono surrogati dei concerti “live”, devi vedere il pubblico davanti a te».

Accadrà nuovamente nel 2021. O, almeno, così tutti sperano. E agli inizi del prossimo anno andrà in scena il primo atto con Cyrano protagonista.

 

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