«Spesso il Rinascimento è stato presentato in modo troppo edulcorato e oleografico. A me piace però parlare anche del suo “lato oscuro”, approfondendone gli ambiti meno conosciuti e, soprattutto, guardando agli aspetti umani dei suoi protagonisti. In quest’ultimo libro ho voluto allora raccontare un Machiavelli del tutto inedito, visto dagli occhi dei suoi amici, nemici e anche di una sua amante».
Negli ultimi anni, il professor Marcello Simonetta ha saputo affiancare alle sue ricerche storiche di prim’ordine (è tra i curatori dell’edizione nazionale delle lettere machiavelliane, di cui si attenderà una prossima pubblicazione ricca di novità accademiche) una capacità di narrazione coinvolgente. Dal long seller L’enigma Montefeltro (Rizzoli, 2008), a Volpi e leoni. I misteri dei Medici (BUR, 2017), lo storico romano, docente in Francia, è riuscito a ritagliarsi uno spazio privilegiato in quella che gli anglosassoni inquadrerebbero come “narrative nonfiction”: un saggio con la freschezza del romanzo. Non sorprende dunque il forte interesse verso Tutti gli uomini di Machiavelli (Rizzoli, 2020), sua ultima fatica che promette di disegnare un nuovo volto al poliedrico autore de Il Principe.

Professore, quando si parla di Machiavelli spesso si pensa a un uomo molto astuto e del tutto privo di scrupoli. Nel suo libro, tuttavia, emerge come egli non sia poi peggiore di molti suoi contemporanei.
«Personalmente credo che questa visione di lui come ideale del cinismo sia tutto sommato infondata. Paradossalmente è stato il meno “machiavellico” dei suoi contemporanei. Basti pensare che c’è stata gente che ha fatto carriera a sue spese, ingannandolo e sfruttandolo. Però lui alla fine riesce comunque a scrivere i suoi libri e anche a tornare in auge dopo il ritorno dei Medici».

Un mito da sfatare quindi, quello che lo vede in disparte durante un periodo per lui così difficile?
«Chiaramente, la sua carriera a quel punto non può essere brillantissima, ma riesce comunque a rientrare nei ranghi e a riconquistare una certa influenza. A differenza di un personaggio come Guicciardini, Machiavelli non ottiene quasi mai quello che vuole, però ha un occhio ironico e penetrante, che gli consente di capire le cose, anche se spesso è stato frainteso dai suoi contemporanei».

Ad esempio, da chi non è stato capito?
«In particolare da certi intellettuali che ho definito “di sinistra al caviale”, come Zanobi Buondelmonti, un borghese di buona famiglia che vuole fare il rivoluzionario e finisce male. Machiavelli gli dedica nientemeno che Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, tuttavia, egli è un personaggio che non lo capisce davvero: il suo moralismo sulla politica è esattamente l’opposto di quello predicato dall’autore de Il Principe».

E i fratelli Vettori, cui lei ha dedicato i primi capitoli del suo libro, sono invece più affini al pensiero machiavellico?
«Francesco Vettori è stato uno dei pochi uomini all’altezza dell’intelligenza di Machiavelli. Solitamente viene ricordato in quanto destinatario dell’unica lettera in cui quest’ultimo parla esternamente de Il Principe. Eppure la sua importanza è enorme poiché senza quell’interlocuzione probabilmente Niccolò non avrebbe sviluppato certe idee e scritto il libro».

Paolo Vettori, invece, che rapporto ebbe con Machiavelli?
«Grazie a lui, abbiamo potuto scoprire un Machiavelli marinaro del tutto inedito. Dagli studi che ho compiuto insieme ad Andrea Guidi è infatti emerso come intorno al 1516, un periodo in cui si pensava che Machiavelli fosse rimasto a Sant’Andrea in Percussina, egli sia stato invece coinvolto dal Vettori, il quale era ammiraglio della flotta pontificia, in alcune spedizioni navali contro un corsaro turco che faceva base in Tunisia. Credo che l’aspetto più interessante di tutto questo sia vederlo sotto una luce diversa: come uomo d’azione e non solo di riflessione».

L’ultimo capitolo del libro è dedicato a Barbara Salutati, chi era questa donna?
«Una cortigiana. Una donna molto più giovane di lui, che lo sedusse, e dalla cui relazione Machiavelli uscì un po’ malconcio. Tuttavia, la cosa incredibile è che lui le affidò il suo preziosissimo cifrario: la chiave per comprendere le sue lettere».

In una di queste, Machiavelli scrive: «Il vero, io lo nascondo fra tante bugie che è difficile a ritrovarlo. Come si fa a interpretare un uomo così camaleontico?
«Machiavelli mette sempre il dubbio se ciò che sta dicendo sia vero o no. In questo senso, mi piacerebbe immaginare un incontro tra lui e Pirandello, perché in fondo hanno una visione simile: sono scettici sulla possibilità di afferrare la verità, ma entrambi sono convinti che, al di là delle illusioni, qualcosa di vero ci sia e rimanga sempre».

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