Il fascino senza tempo della Sicilia attraversa i secoli incontrando miti e leggende di ogni sorta, personaggi di fantasia che, con le loro ambizioni, sono giunti ai giorni nostri grazie alle accurate narrazioni fatte dagli storici e dai poeti. E, tra le decine che potrebbero raccontare gli abitanti di questa terra millenaria, figura anche la storia di Encelado…

Come avviene per i suoi fratelli Giganti, anche la figura di Encelado – in greco Ἐγκέλαδος, Enkélados – viene collocata nella Tracia, una regione nel nord-est della Grecia. La sua nascita era avvenuta in seguito alla fecondazione di Gea per mezzo del sangue di Uranio, caduto al suolo quando era stato evirato da suo figlio Crono. L’immagine di Encelado che viene data nelle diverse narrazioni storiche è quella di un essere per metà uomo e per metà bestia: gli arti inferiori erano costituiti da code di serpente squamose, non sempre ritratte nelle rappresentazioni pittoriche a lui dedicate, mentre le mani sono grandi come piazze, la barba lunga e incolta, e la bocca simile a una fornace.

La metopa di Atena ed Encelado presso il Tempio di Selinunte

LE ORIGINI DELLA SICILIA. A Encelado sarebbe dovuta, fra le altre cose, la formazione stessa della Sicilia. Combatté infatti nella Gigantomachia, la guerra ingaggiata dai Giganti contro gli dèi dell’Olimpo, ma, stremato, a un certo punto provò a fuggire insieme agli altri superstiti. Atena li colse sul fatto e, assunte dimensioni di gran lunga superiori a quelle dei Giganti, colpì Encelado con il suo scudo facendolo precipitare in mare, quindi scagliò contro di lui un enorme sasso per sotterrarlo. Secondo il mito, il suo corpo giace da allora sotto la Sicilia. La testa e la bocca sono sepolte sotto l’Etna, le cui eruzioni altro non sono che le grida del Gigante; le braccia sono rivolte rispettivamente verso Messina e Siracusa, mentre il busto attraversa la parte centrale della Trinacria. La gamba destra punta verso Palermo, la sinistra verso Mazara, e l’alluce del piede destro si troverebbe sotto il Monte Erice. Stando alla leggenda, Atena veglia ancora su di lui per impedire che si alzi e, ogni volta che Encelado si muove dolorante, oppure prova a sollevarsi, in Sicilia si scatena un terremoto. La sua storia è conosciuta e tramandata anche in Grecia dove, ancora oggi, per indicare un terremoto si usa dire che si è trattato di Το χτύπημα του Εγκέλαδου e cioè di Un colpo di Encelado.

Atena sconfigge il Gigante Encelado; interno da un disco attico a figure rosse, all’incirca elaborato del 525 a.C. (Parigi, Musée du Louvre).

L’ALTRA VERSION DEL MITO. Un altro mito legato a Encelado riguarda poi la formazione dell’Etna, che in base a questa versione non sarebbe sempre stato un vulcano. Mentre era ancora in corso la Gigantomachia, Encelado architettò infatti un piano per raggiungere l’Olimpo e affrontare Zeus: avrebbe costruito una torre di montagne con l’aiuto dei suoi fratelli, che dal canto loro non erano sicuri dell’efficacia del piano ma che decisero comunque di assecondarlo, spaventati dalle fiammate che la bocca di Encelado riusciva a produrre. Vennero così accatastate, l’una sull’altra, le cime dei monti più alti, ovvero le catene dell’Asia, il Monte Bianco e il Pindo della Grecia, anche se l’altezza raggiunta non era ancora sufficiente per arrivare fino all’Olimpo. Furioso, Encelado ordinò ai suoi fratelli di raggiungere i monti africani.

LA PRIMA ERUZIONE. Zeus osservava silenziosamente il loro duro lavoro e constatò che, se queste ultime cime si fossero aggiunte al cumulo precedente, i Giganti sarebbero di fatto arrivato sempre più vicini. Gli scagliò dunque una saetta contro, tanto potente da infiammare il cielo, quindi li colpì e li accecò, prima di lanciare ancora un fulmine contro la torre di montagne che, crollando, seppellì all’istante i Giganti. A quel punto, i massi del monte Etna schiacciarono perfino Encelado. Ricoperto di pietra e impotente, il Gigante iniziò a dimenarsi e a sputare fiamme dalla bocca. Il fuoco traboccò dalla roccia provocando un’esplosione, e il respiro del Gigante causò la fusione della lava, che presto si riversò lungo i pendii della montagna distruggendo tutto ciò che incontrava lungo il suo percorso. «L’Etna fuma», era il grido che echeggiava tutto intorno. E solo quando il tormento di Encelado si placò l’eruzione si interruppe, e la quiete tornò a regnare sovrana in Sicilia. Ecco perché ancora oggi, quando l’ira di Encelado si risveglia, dal vulcano fuoriescono lapilli e lava incandescente.

È fama, che dal fiume percosso
E non estinto, sotto a questa mole
Giace il corpo d’Encelado superbo;
E che quando per duolo o per lassezza
Ei si travolve, o sospirando anela,
Si scuote il monte e la Trinacria tutta;
E del ferito petto il foco uscendo
Per le caverne mormorando esala,
E tutte intorno le campagne e ‘l cielo
Di tuoni empie e di pomici e di fumo.

(Virgilio, Eneide, libro III)

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