Il sito di proprietà della nobile famiglia catanese è uno dei rari esempi di architettura bizantina all’interno della città etnea. Insieme all’erede e proprietario Salvatore Bonajuto ripercorriamo le tappe più significative di questo spazio, dalla concessione di Bianca di Navarra agli studi che ne hanno definito la datazione

Tra i gioielli che si celano a Catania ce n’è uno che merita una menzione speciale per la sua unicità nel territorio etneo: la Cappella Bonajuto. Uno dei rari esempi di architettura bizantina nella città metropolitana che deve il suo nome alla celebre famiglia, il cui stemma è ancora visibile sulle chiavi di volta di alcuni palazzi. Salvatore Bonajuto, erede e proprietario del sito, ce ne ha raccontato la storia.
Salvata dal terremoto del 1693 per la presenza del Palazzo che i Bonajuto avevano costruito grazie alle concessioni che Regina Bianca di Navarra gli aveva dato, fu risparmiata dal piano urbanistico del Duca di Camastra che pur di tenere al sicuro dai terremoti i cittadini aveva deciso di modificare l’obsoleto impianto medievale con un più moderno ortogonale.

Celata agli occhi per molti anni fu riscoperta solo negli anni ‘30 quando la soprintendenza decise che era il momento di scavare: «I lavori di scavo – racconta l’erede – iniziarono con il mio bisnonno. In realtà tra lui e la soprintendenza i rapporti non erano facilissimi, il mio avo voleva riaprire la cappella al culto, mentre loro volevano continuare le ricerche. Io conservo ancora il carteggio intercorso tra loro, stavano per incorrere in causa, ma alla fine lui potè ricoprire con un pavimento di mattoni e chiudere la storia». Un pavimento che Salvatore Bonajuto ha distrutto restituendo alla città un pezzo fondamentale del suo passato: «L’ho riaperta circa 17 anni fa, nel 2001. Sono stati fatti profondi lavori di restauro, sempre cercando di preservare il sito». Tra le scoperte più significative degli ultimi anni la datazione. Già il Biscari, come in seguito l’Agnello, l’avevano collocata fra il VI e il VII secolo e questa per molti anni è stata la tesi avvalorata: «Con la datazione siamo andati a tentoni fino a quando l’Università di Catania ha fatto le sue ricerche. Hanno rilevato un campione di mattoni e fatto l’esame del carbonio 14 e, grazie anche all’elettrofluorescenza che ci dice quando sono stati cotti, possiamo dire con certezza che la cappella sia stata costruita tra l’VIII e il IX sec. d.C.». Alcuni nei secoli hanno confuso il luogo, per la sua conformazione simile alle Terme della Rotonda, con un edificio termale, mentre è quasi certo che fosse un martyrium, il luogo in cui venivano sepolti i santi martiri: «Certo non possiamo dire nulla con certezza – afferma il barone – ma è bello pensare che tra le sue celle sia stata sepolta anche Sant’Agata, essendo la cappella adiacente ai luoghi che hanno segnato la sua esistenza».

Per anni il sito, dopo la riapertura, è stato adibito a locale, ed è infatti la prima cosa che si intuisce andando a cercare la cappella sui motori di ricerca, come ci racconta il proprietario che ha deciso di invertire la rotta: «I primi anni dalla riapertura l’ho gestita io, poi l’ho affidata a terzi, ma mi sono reso conto che quella non era una strada percorribile. Lo spazio deve essere mostrato nella sua bellezza senza orpelli. Se una destinazione uso va data deve essere quella di contenitore di arte e cultura, uno spazio museale ed espositivo. Catania di oggi non è Catania di 17 anni fa o 7 anni fa. Ritengo che il momento sia maturo per mettersi in gioco in questo campo». La conferma è data dai numerosi giornali internazionali che soprattutto quest’estate hanno dato rilievo alla città etnea e alla presenza della cappella in guide di rilievo come la Lonely Planet.

Prima di concludere il barone Bonajuto ci rivela una chicca: Jean Pierre Houël, il famoso illustratore che tra i primi intraprese il viaggio in Sicilia, non ha mai visto la cappella. E pensare che la sua riproduzione è una delle più illustri e fedeli al punto che oggi è conservata presso l’Ermitage di San Pietroburgo: «La verità è che Houël non visitò mai il sito, sicuri sono i contatti con il Principe di Biscari, che a differenza sua la conosceva bene, vide i disegni di altri illustratori, delle piante degli schizzi, ma sicuramente non la cappella. Ed è straordinario vista la fedeltà con il quale l’ha riprodotta». Nella gouche di Houël si può ammirare il colombario cristiano, probabilmente databile ad epoca romana del II sec., così come le scale che permettevano l’accesso al martyrium. A movimentare la scena anche tre personaggi, due addetti e il terzo in abito rosso il direttore dei lavori, che ci fanno comprendere il fascino e l’importanza che la cappella ha avuto e continua ad avere da sempre.

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