Tra i tanti modi per ricordare Rosario Livatino nell’anno della beatificazione non passa inosservata, per la concretezza, la presentazione a Catania della “Casa di accoglienza Rosario Livatino”, che intende offrire una soluzione abitativa a detenuti fruitori di misure alternative alla carcerazione e a neo-dimessi, ovvero ex detenuti che hanno estinto la pena, nella prospettiva di favorire il recupero e il reinserimento sociale di chi sta scontando una pena o l’ha già estinta e si trova senza fissa dimora. Dalla biografia del Beato Giudice veniamo a conoscenza di quanto fosse di grande qualità e umanità. Gli imputati, anche per i più gravi delitti, erano per lui innanzitutto persone, tanto da alzarsi e stringere loro la mano quando entravano o uscivano dal suo ufficio. E che dire di quando andava all’obitorio a pregare accanto al cadavere di mafiosi uccisi o di quando, nel giorno di Ferragosto, andò di persona a portare in carcere il mandato di scarcerazione per un recluso, affinché non vi restasse neanche un minuto in più. L’abbiamo chiamata “umanità”, ma nel suo caso è il Vangelo a “imporlo” a partire dalle parole stesse di Gesù “ero carcerato e siete venuti a trovarmi”, che diventa poi per la Chiesa una delle opere di misericordia corporale.

Oggi, tutto ciò ha ispirato e ispira l’azione dell’Arcidiocesi di Catania e della Fondazione Francesco Ventorino, in un tempo particolarmente difficile alla luce dei tristi fatti di cronaca legate alle carceri, trasformandosi in un segno di carità e di speranza. L’iniziativa si colloca all’interno di una presenza nella Casa Circondariale di Piazza Lanza, a partire dal 2009, di un cospicuo gruppo di volontari, formalmente costituitisi, dal 2020 come espressione della Fondazione. Tale impegno presenta oggi forme molto articolate: diversi laboratori (teatrale, artigianale, di lettura, di cucina, di taglio e cucito) un cineforum e la realizzazione di numerosissimi colloqui individuali, cui è intimamente connessa, oltre che la fornitura di sostegno morale e materiale, anche una continua attività di supporto nelle relazioni con le famiglie, con gli avvocati, con enti esterni. E poi? Una volta scontati gli anni comminati dalla giustizia o all’interno di una pena alternativa alla detenzione? Il bisogno alloggiativo riguarda, infatti, non solo potenziali fruitori di misure alternative alla detenzione ma anche i “neo dimessi”; inutile sottolineare quanto l’assenza di un domicilio ostacoli e ritardi il processo di reinserimento anche per chi ha estinto il proprio debito con la giustizia.

Ora c’è un’opportunità, la casa di accoglienza che si trova a Motta Sant’Anastasia in un immobile della diocesi, che intende offrire i seguenti servizi, programmati e realizzati da personale qualificato: alloggio e vitto, interventi di sostegno e sviluppo delle capacità di autonomia e autogestione, accompagnamento ai servizi territoriali (sociali, sanitari e del lavoro), attività ricreative, mediazione culturale, orientamento e informazione legale, formazione e/o riqualificazione professionale, sostegno psicologico. «All’interno di un approccio integrale, integrato e multidisciplinare alla persona dell’ospite della Casa – dice Alfio Pennisi della Fondazione Ventorino – il servizio offerto si svolgerà in sinergia con tutte le risorse ed enti che il territorio mette a disposizione a favore dei soggetti più svantaggiati. In una società spesso caratterizzata da quella che Papa Francesco ha definito “la cultura dello scarto”, i carcerati – e con essi le loro famiglie – sono tra gli scarti più negletti. La Fondazione e la Chiesa catanese intendono affermare invece l’insopprimibile dignità di ogni uomo e donna ponendo dunque un segno di novità e speranza per la società intera».

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