«Lo spessore del muro di Berlino era fondamentalmente ideologico. Questo scatto è forse l’unico a ritrarlo nella sua astrattezza concettuale». Commenta così Giovanni Chiaramonte la foto che figura sulla copertina del catalogo di “In Berlin”, mostra realizzata per la triennale di Milano nel 2009 che raccoglie scatti fatti dal fotografo varesino (ma di origini siciliane) nella capitale tedesca prima e dopo la caduta del muro. Mostrato da una prospettiva inedita, questo rivela la sua reale larghezza. «La caduta del muro – continua Chiaramonte – è avvenuta quando esso non aveva più motivo di esistere nelle menti dei berlinesi. Dentro di loro era finito prima ancora che lo fosse fisicamente. Come sarebbe stato possibile fermarne il crollo a quel punto? L’ideologia è contro la realtà: una divisione di ciò che non può essere diviso. Quindi è stata la forza della storia a tirare già il muro».

COMPRENDERE ATTRAVERSO L’ARCHITETTURA. Il lavoro realizzato da Chiaramonte a Berlino è iniziato nel 1984 e proseguito negli anni a venire. L’approccio che tuttavia emerge dalla visione delle foto che costituiscono “In Berlin” non si focalizza tanto e solo sulle differenze della città prima e dopo la sua unificazione. Attraverso uno sguardo all’architettura, piuttosto, propone uno sguardo contemplativo nel vero cuore della città. «La prima cosa che volli mostrare in quel lavoro – racconta – è stata la fondazione greco-romana di Berlino. La nazione tedesca ottocentesca costruì la città sul modello di Roma, non di Gerusalemme». Chiaramonte interpreta così il problema dell’antisemitismo. «La Shoah non è colpa solo di Hitler, ma di un processo culturale iniziato a Berlino nell’Ottocento. Tutto il moderno nasce su un modello di pensiero del soldato romano, non della pietas latina, che poi sfocia in quella cristiana».

PRESAGIRE LA RIUNIFICAZIONE. La forza di questo lavoro è individuabile soprattutto nell’aver saputo presagire attraverso questo punto di vista il prossimo ritorno alla Germania unita. «L’idea della bellezza fu un modo di prevedere ciò che poi successe: la ricostruzione». Bisognerebbe allora chiedersi oggi, a trent’anni dalla caduta del muro, quali segnali siamo in grado di cogliere dalla storia e in che modo gli istanti divenuti permanenti (gli stessi che tanti clic della macchina fotografica hanno intrappolato per sempre) possono aiutarci a comprendere la direzione del nostro Occidente oggi.

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