Dal Tonno in crosta di semi di chia con marmellata di cipolle al nerello mascalese al Cùscus di pesce alla trapanese, dall’Insalata di funghi porcini con schiuma di pecorino alle capesante su crema di carciofi e lardo di maialino nero dei Nebrodi, fino a una dolcissima Cheesecake al gelsomino con spugnoso al tea matcha. Sono questi, solo per citarne alcuni, i deliziosi piatti di cui lo chef quarantenne made in Sicily ha svelato le ricette nella rubrica Sicilian Gourmet 

Altro che programmi televisivi e siti internet culinari, D’Angelo mette nelle sue creazioni tutta la sua passione e l’esperienza maturata tra la Sicilia e l’estero, trovando il giusto equilibrio tra tradizione e innovazione. «Sono cresciuto nell’ambito italiano e principalmente a Trapani – dice – dove ho fatto le prime esperienze nel mondo culinario. Ma quando hai voglia di crescere e diventare qualcosa di più – aggiunge – cerchi nuovi stimoli ed esperienze internazionali». Così, nel 2012, Agostino lascia il Sant’Andrea, dove lavorava da cinque anni, per volare in Inghilterra, dove trova lavoro in ristoranti e hotel di lusso, tra cui The Ten Trinity Hotel Four Seasons.

«Dall’Inghilterra ho portato a casa la conoscenza internazionale. Paradossalmente tutto quello che ho visto a Londra lo pensavo per il Sant’Andrea, anche se non sapevo ancora che ci sarei tornato»

Essendo rimasto in ottimi rapporti con la direzione del ristorante siciliano, però, non appena è arrivata l’offerta di rientrare a casa da buon siciliano ha colto la balla al balzo, tornando nella terra che ha nel cuore. Dove può esprimere al meglio la sua filosofia di cucina che si basa sulla genuinità degli ingredienti autoctoni e sulle influenze internazionali, quelle arabe tipiche della tradizione trapanese e quelle francesi, indiane e asiatiche scoperte durante le esperienze all’estero e reinterpretate in modo personale.

«Dall’Inghilterra ho portato a casa la conoscenza internazionale, perché essendo Londra un posto multietnico ti ritrovi a confrontarti con tantissime culture di food, dal giapponese al francese dall’asiatico, all’indiano. Un bagaglio internazionale importante che ti fa conoscere e comprendere meglio le altre realtà. Paradossalmente tutto quello che vedevo a Londra lo pensavo per il Sant’Andrea, anche se non avevo ancora idea che ci sarei tornato».

«Abbiamo rivisitato leggermente le ricette, per dare la possibilità ai lettori di poter riprodurre in casa i piatti che ho proposto ai nostri clienti e che si sono guadagnati la nomina di best seller, i più venduti e apprezzati dai nostri commensali»

E ora che il sogno si è concretizzato, nel ristorante che gestisce lo chef può dare vita fino a tre menù diversi, basati sui prodotti di stagione. Perché l’eccellenza del prodotto si misura soprattutto da quello. Filosofia rispettata anche nelle ricette che suggerisce ai nostri lettori, facilmente riproducibili a casa, anche per i meno esperti. «Nei nostri piatti c’è molta tecnica, ma per la tecnica serve l’attrezzatura giusta. Ecco perché abbiamo rivisitato leggermente le ricette, per dare la possibilità ai lettori di poter riprodurre in casa i piatti che ho proposto ai nostri clienti e che si sono guadagnati la nomina di best seller, i più venduti e apprezzati dai nostri commensali».

Non poteva mancare, naturalmente, il cous cous trapanese, di cui D’Angelo ha imparato i segreti dalla nonna, il raviolo piramide che nonostante la forma particolare è stato apprezzato anche grazie all’accoppiata con le melanzane affumicate, gli spaghetti alle vongole, che pur non essendo considerato un piatto gourmet viene preparato come una pasta risottata. «L’idea è quella di riuscire a suggerire ai lettori piatti un po’ più particolari di quelli che preparano quotidianamente, ma non così tecnici da non poterli riprodurre a casa».

«L’internazionale e il multi etnico si limitano a inseguire un gusto, mentre noi chef italiani cresciamo in un Paese dove il food è cultura e quando creiamo le nostre ricette inseguiamo anche un ricordo»

«Quello che dico sempre quando mi chiedono le differenze tra Londra e la Sicilia – commenta a conclusione – è che l’internazionale e il multi etnico si limitano a inseguire un gusto, mentre noi chef italiani cresciamo in un Paese dove il food è cultura e quando creiamo le nostre ricette inseguiamo anche un ricordo. Ecco perché in ogni mio piatto trasferisco attraverso gli ingredienti le mie esperienze, la mia crescita, la mia famiglia, la città dove sono nato e cresciuto, gli odori dei mercati. E penso che sia un grosso vantaggio per gli chef italiani, specialmente siciliani».

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