Io, siciliano in Norvegia,
vi racconto la pandemia
del freddo Nord

Spesso la vita di un italiano emigrato all’estero è un’altalena di ricordi tra il prima e il dopo. Tra la vita in Italia e quella nel paese d’arrivo. C’è una cesura, un portale temporale, uno specchio, chiamatelo come vi pare, nel quale le esperienze di ogni giorno vengono reinterpretate al passato. Vivo in Norvegia da poco più di 7 anni. Lavoro, ho famiglia e ogni tanto, come tutti gli italiani di qui, ho bisogno di riassaporare l’Italia. 

Ricordo quando mio padre, in Sicilia, ai piedi dell’Etna, si organizzava per andare a procurarsi il vino da un suo amico in campagna. Sciacquava le bottiglie, le faceva asciugare e le caricava in macchina. Poi partiva e dopo qualche ora, carico di chiacchiere, ritornava a casa col vino.

In quel di Sandvika (la città dove vivo, a 13 minuti di treno da Oslo) e nel resto della Norvegia, per bere di domenica devi pensarci il sabato. Di domenica tutto è chiuso e il vino, monopolio di stato, lo trovi solo al Vinmonopol, come in Italia le sigarette dal tabaccaio. Parcheggio la macchina, giro l’angolo, ed incontro gli effetti del Covid. Una fila di venti persone, distanziate un metro l’una dall’altra da appositi segnali sul pavimento, aspetta in silenzio di entrare, cellulari in mano e mascherina in faccia, per fare scorta di alcol. Passano cinque minuti e si va avanti ritmicamente di qualche passo, man mano che gli altri acquirenti escono dall’altro lato. Arrivato alla porta, un impiegato ti si presenta davanti con una bottiglia di liquido disinfettante, te lo spruzza sulle mani, quindi ti fa cenno di entrare. Manca solo il segno della croce ed anche per oggi siamo stati benedetti.

L’ambasciatore Colella: «I norvegesi accettano più facilmente i decreti perché rispetto agli italiani sono abituati ad avere un distanziamento sociale per cultura»

Mi dirigo alla sezione Italia, quindi Piemonte, scelgo un Barbera d’Alba. Andando verso la cassa saluto un cartone di Tavernello a 129 corone norvegesi (circa 12 euro). Quindi mi appresto a pagare. Ed è ancora Covid: “Niente contanti – dice il cartello – si paga esclusivamente con carta di credito”. La circolazione di cartamoneta è stata scoraggiata da quasi tutti i negozi a partire dalla prima ondata del virus, a marzo, in modo da ridurre le possibilità di contagio. Ma l’asiatico che vende frutta e verdura accanto alla stazione del treno ancora tiene duro e accetta i contanti. Esco trionfante e tolgo la mascherina.

Non è obbligatoria ma “caldamente consigliata”. La uso abitualmente da un mese. La prima esperienza l’ho fatta quest’estate quando, bloccato in Norvegia, anziché andare in vacanza a sud, in Sicilia, mi sono diretto con l’aereo ancora più a nord, a Tromsø. Lì, alla cassa dell’acquario della città, ho casualmente incontrato un altro italiano, un lavoratore stagionale preoccupato per la possibile perdita del suo impiego a causa del virus. In Norvegia la crisi non si sente come nel resto d’Europa, ma la perdita dei posti di lavoro c’è stata pure qui e tante categorie sono state danneggiate: ristoratori, saloni di bellezza, parrucchieri, freelancer.

Da marzo 2020, quando il virus ha varcato le frontiere del Paese, fino al  momento di scrivere questo articolo si contano 23.225 casi e 285 decessi. La più alta incidenza di casi e deceduti si è registrata nella capitale Oslo, nella contea di Viken (dove si trova Sandvika) e nel Vestlandet. Con 5 milioni e 300 mila abitanti, la Norvegia ha una densità di popolazione di gran lunga inferiore a quella siciliana e a quella italiana nonché un’età media di 4 anni più bassa. Mi chiedo se siano questi alcuni dei fattori che fino a poche settimane fa hanno protetto la popolazione scandinava dalla diffusione massiccia della Covid-19. 

Anche in Norvegia i casi aumentano, e si paventano lockdown localizzati al fine di scongiurare una chiusura forzata durante le festività natalizie

Decido di parlarne con l’Ambasciatore italiano di Norvegia e Islanda Alberto Colella, che al telefono mi dà la sua opinione a riguardo: «I norvegesi – commenta – accettano più facilmente i decreti perché rispetto agli italiani sono abituati ad avere un distanziamento sociale per cultura. Perciò, il governo norvegese, almeno fino ad ora, si è limitato a dei consigli, raccomandando alla popolazione la messa in atto delle disposizioni anti-Covid». Tuttavia, presto potrebbero essere introdotte delle pesanti sanzioni pecuniarie per chi non si adegua alle future e più stringenti normative. Del resto, anche in Norvegia i casi aumentano, e si paventano lockdown localizzati al fine di scongiurare una chiusura forzata durante le festività natalizie ed in attesa del vaccino in primavera.

L’ambasciatore mi ha anche spiegato come la comunità italiana in Norvegia (circa 7000 persone) si sia approcciata alle regole di arginamento emanate dal governo del primo ministro Erna Solberg (Høyre) e, più in generale, come l’emergenza abbia impattato sui nostri concittadini. «Gli italiani che hanno contratto il virus in Norvegia sono solo tre. Un caso a Trondheim, nel centro del Paese, e altri due ad Oslo». L’Ambasciata, mi riferisce ancora, ha lavorato alacremente per rispondere ai tantissimi residenti italiani e ai lavoratori stagionali che hanno sommerso i centralini consolari con telefonate di apprensione già a partire da marzo. «La richiesta di notizie è stata talmente alta da portare alla decisione di istituire una linea diretta per rispondere esclusivamente alle telefonate riguardanti l’emergenza, alle quali molte volte ho risposto personalmente». Uno degli ultimi interventi istituti dall’ambasciata riguarda la promozione di un servizio di consulenza psicologica in lingua italiana.

Strappo all’ambasciatore la promessa di un caffè, in stile italiano, e lo saluto. Torno a casa, appendo la giacca, tolgo le scarpe e poso la mascherina. Preparo la mia prossima lezione di italiano: purtroppo sarà nuovamente on-line.

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