“Che ore sono?” Domanda facile, almeno apparentemente, alla quale basterebbe rispondere usando il nostro orologio da polso, o, adesso più frequentemente che pochi anni fa, dando uno sguardo al nostro cellulare. Certo, i mezzi per rispondere a questa domanda sono cambiati di parecchio nel corso della storia, come ha osservato acutamente lo storico delle scienze Alexandre Koyré, nel suo saggio Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, argomentando come nei secoli passati, prima dell’era moderna, la misura del tempo era governata dai fenomeni naturali (l’alba e il tramonto, innanzitutto, che scandivano gli orari di lavoro e la vita comune). Non c’era bisogno del resto di una grande precisione a quel tempo, e ancora oggi si rimarcano le differenze di mentalità tra un Nord Italia in cui si fissa un appuntamento alle 14:45 e un Sud Italia, dove magari ci limitiamo a dire “nel primo pomeriggio”. Ma non è di questo, di per sé meritevole di attenzione, che vogliamo dire qualcosa al momento, quanto del fatto che i viaggi e gli scambi anche con persone lontane ci hanno abituati al fatto che non è dappertutto la stessa ora sulla faccia della Terra. E quando lo dimentichiamo rischiamo di svegliare una persona che magari sta dormendo, nel cuore della notte, da un’altra parte del mondo.

Insomma, abbiamo i fusi orari, porzioni del territorio terrestre nelle quali si adotta lo stesso orario. Questa suddivisione è nata alla fine del 1800 per ragioni commerciali, pratiche, ma anche sociali e politiche, e utilizza delle convenzioni, in modo che, ad esempio, le 14 locali siano considerate giorno mentre le 2 locali siano considerate notte, il che già ci aiuta un po’ a non fare confusione. Ma il sistema dei fusi orari è comunque più complicato di come appaia a prima vista. Idealmente, infatti, il mondo è stato suddiviso in 24 macroaree, ciascuna con una copertura di 15 gradi in longitudine, dato che l’intera superficie copre 360 gradi. Il riferimento, come sappiamo, è il Greenwich Mean Time (GMT), che stabilisce lo zero rispetto a cui esprimere l’orario del particolare fuso considerato.

Ci aspetteremmo dunque di avere 24 possibili orari, con differenze di un’ora tra un fuso e il successivo, con 24 macroaree che abbiano la forma di “spicchi” tutti eguali. In realtà, tuttavia, ne abbiamo 39, e con limiti di demarcazione che non seguono la geometria ideale ma si adattano ai frastagliati confini delle nazioni o ad altre caratteristiche geografiche. E questa rappresenta la prima complicazione: posti molto vicini tra loro, anche pochi km, in prossimità del confine tra due nazioni potranno avere orari che differiscono di un’ora, con qualche svantaggio pratico per i frontalieri.

Alcuni Paesi poi (come Canada, Sri Lanka, India ad esempio) hanno alcuni dei loro fusi orari spostati di 30’ rispetto a quelli usuali, anziché di ore intere. E il Nepal addirittura ha un fuso a GMT+5h45’ rispetto a quello di riferimento. E questa rappresenta un’ulteriore complicazione pratica.

Molti Paesi hanno una estensione talmente grande da richiedere un certo numero di fusi orari al loro interno, per non violare le convenzioni giorno/notte. Esempio emblematico la Russia, che ha fusi orari compresi tra GMT+2h (per Kaliningrad) e GMT+12h (per i territori estremi della Kamcatka). È tuttavia la Francia a detenere il primato del numero di fusi orari, ben 12, non certamente per l’estensione del suo territorio europeo, ma per l’esistenza di sue colonie sparse un po’ in tutto il globo. Ma avere troppi fusi orari – e dunque troppi orari differenti – nella stessa nazione, può complicare la gestione degli affari interni, tanto che per ragioni politiche Putin alcuni anni fa decise di ridurre da 11 a 9 il numero di fusi orari nel territorio russo.

E che dire dell’ora legale, adottata in molti Paesi, ma non in tutti, oppure adottata in periodi diversi da quelli in uso in Europa? Altra complicazione, che ci costringe a capire, se vogliamo essere precisi, se in quel momento è già attiva l’ora legale in quel Paese oppure no.

Insomma, l’utilizzo di un orario comune non è di facile uso, e rappresenta spesso un ragionevole compromesso tra l’esigenza di basare i nostri rapporti sociali sullo stesso orario e l’esigenza che questi orari corrispondano alla posizione del Sole in cielo. In Europa centrale, ad esempio, che ha scelto di avere lo stesso fuso orario per la maggior parte dei suoi Paesi, dalla Spagna (la più ad Ovest) alla Polonia e alla Svezia (le più ad Est), avremmo bisogno in realtà di 2 o 3 fusi orari diversi, per far sì che il Sole sorga e tramonti all’incirca allo stesso orario, anziché 2 o 3 ore prima o dopo a seconda della Nazione. L’astronomia ci dice che rigorosamente ogni località geografica (o, meglio, ogni longitudine) ha un suo orario concorde con il Sole. Nel nostro piccolo, in Sicilia, estesa in longitudine circa 3 gradi, da Messina alle isole Egadi, questa differenza corrisponde a poco più di 10 minuti: una persona a Messina vedrebbe sorgere il Sole circa 10 minuti prima di quanto non succeda agli abitanti delle Egadi, una differenza che tutto sommato possiamo sopportare. Più difficile, invece, darsi in questo periodo un appuntamento telefonico al sorgere del Sole tra un abitante di Tirana, in Albania e uno di Siviglia, in Spagna, che differirebbero di oltre un’ora e mezzo. Forse anche per questo la Grecia e il Portogallo, che pur stanno in Europa, hanno scelto fusi orari differenti da quello dell’Europa Centrale, l’una a GMT+2, l’altro a GMT.

Ci accorgeremo presto, nei prossimi giorni, aspettando l’arrivo del 2024, come la differenza di fuso orario farà in modo che in certi posti della Terra, come alcune isole dell’Oceania, il 2024 avrà inizio molto prima che in altri luoghi. Le ultime a festeggiare il Capodanno 2024? Ancora delle isole, ma stavolta le Hawaii, che vedranno l’inizio del nuovo anno mentre noi saremo (sperabilmente) impegnati con i preparativi del primo pranzo dell’anno.

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