«Ero un ragazzo come tanti. Condividevo con degli amici il mio percorso di studio. Poi, nel 2012, la mia vita e quella di molti altri è stata interrotta senza che noi avessimo alcuna colpa. La guerra imperversava in Mali e così sono fuggito. Prima l’inferno del deserto, poi quello della Libia. Quando sono arrivato in Italia, nel 2014, ho dovuto ricominciare tutto dall’inizio. Ma qui, a Catania, ho trovato una seconda casa. E oggi, grazie l’Associazione Don Bosco 2000 e alla mia esperienza, periodicamente torno in Africa per dare una mano a coloro che soffrono». Quella di Alì è solo una delle innumerevoli storie di riscatto che Giorgio Paolucci, giornalista, editorialista e già vicedirettore del quotidiano Avvenire ha raccolto nel suo ultimo volume Cento ripartenze. Quando la vita ricomincia (Itaca Edizioni, 2022), presentato di recente nella cornice di Spazio Quattro*, nel cuore della città etnea. L’incontro è stato moderato da Joshua Nicolosi, giornalista del Sicilia Post. «Abbiamo tutti – ha affermato l’autore – il desiderio innato, quando fronteggiamo qualcosa di brutto, che la vita possa ricominciare, soprattutto quando impariamo a conoscere il significato di ciò che ci sta accadendo. La fragilità fa parte dell’essere umano, ma dobbiamo essere capaci di intercettare quelle evenienze che fanno parte della nostra vita, che sono più grandi della fragilità stessa». Storie che dimostrano come dopo ogni caduta, dopo ogni inciampo con cui la vita prima o poi ci costringe a fare i conti, esiste sempre la possibilità di un riscatto.

«Quando la settimana scorsa ho presentato questo libro in un carcere, uno dei detenuti mi ha detto una frase che mi ha colpito molto:
“noi diventiamo come siamo amati”»

TERRA DI RINASCITE. Proprio come accaduto ad Alì, diventato protagonista di una nuova frontiera dell’accoglienza: quella della migrazione circolare. «A volte – ha spiegato Cinzia Vella, direttrice generale dell’Associazione Don Bosco 2000 – ripartire significa tornare o rimanere a casa. Con i progetti di migrazione circolare, che al momento stiamo conducendo in Senegal e Gambia, l’intento è far tornare, dopo averli formati, chi da quei territori è fuggito, per dare il via a processi di sostenibilità e di informazione. Sono molte, infatti, le persone che ambiscono a partire in cerca di un futuro migliore, senza conoscere a fondo i rischi del viaggio che vorrebbero intraprendere. Ciò che cerchiamo di proporre è un’alternativa: restare e ricostruire con nuova consapevolezza».
Perché la speranza, in fondo, è destinata a farsi strada come dimostrano le altre storie siciliane raccolte da Paolucci. Lo sanno bene i ragazzi di MusicaInsieme a Librino, che in uno dei quartieri più difficili di Catania hanno aperto un nuovo squarcio di bellezza: «Da 13 anni – ha raccontato la fondatrice Loredana Caltabiano – forniamo strumenti in comodato d’uso e diamo l’opportunità a tanti ragazzi l’opportunità di stare insieme in un contesto nel quale, fatta eccezione per le parrocchie, sono assenti i centri di aggregazione. Il nostro intento è fornire loro un’esperienza di crescita sfruttando il valore formativo di suonare insieme, proprio come insegna il modello Abreu. Ad accompagnare i ragazzi in questo percorso sono degli insegnanti di rilievo, molti dei quali provenienti dal Teatro Massimo Bellini, che spontaneamente hanno aderito al progetto».
Lo sanno bene anche le famiglie e i ragazzi assistiti dall’Associazione Cappuccini Onlus, rappresentata per l’occasione dal presidente Giovanni Tedeschi: «Al momento sono circa 70 le famiglie che seguiamo. Forniamo loro assistenza alimentare, ma anche qualcosa di più: una presenza, una compagnia che si concretizza nella quotidianità della vita. Spesso è proprio questo ciò di c’è più bisogno». Insieme a lui Becher, ragazzo catanese di origine marocchina che con determinazione ha scelto di continuare gli studi nonostante una difficile condizione abitativa ne avesse condizionato inizialmente i risultati scolastici. Una notizia, se si pensa al triste primato di Catania, in vetta alla classifica italiana per dispersione scolastica nella quale lo studio è spesso visto non come spazio per i propri desideri, ma come inutile perdita di tempo: «Attualmente sto frequentando il quarto anno delle superiori, indirizzo informatico. Voglio proseguire con l’università. Senza l’aiuto dell’Associazione oggi non sarei la persona che sono».

TESTIMONI DI SPERANZA. È il tema del riscatto, dunque, a fare da filo conduttore alle storie che compongono il libro. Storie che Paolucci ha potuto toccare con mano nel corso della sua vita professionale e privata, che spesso si sono persino intrecciate alla sua e che, in alcuni casi, lo hanno visto protagonista in prima persona. Storie accomunate dal coraggio di andare oltre i propri errori e i propri limiti, oltre circostanze e contesti sfavorevoli: «Credo che il coraggio sia una grande dote – ha raccontato l’autore – ed effettivamente sono innumerevoli le volte in cui emerge dalle vicende del libro. A volte, però, il coraggio è qualcosa che dobbiamo in qualche misura ricevere non da noi stessi». Ci vuole, infatti, anche sensibilità nel riconoscere qual è il segno a cui aggrapparsi per rimettersi in discussione e dare un nuovo slancio alla propria vita: «In certi casi ci vuole una mano altrui, ci vuole un compagno di viaggio. Di qualcuno che ci raggiunga dall’esterno e ci spinga a lottare. Io la chiamo Provvidenza: non con l’idea che sia una colomba che scende dal cielo, ma persone in carne ossa che hanno accompagnato la mia vita che in alcune occasioni l’hanno salvata. Dei veri testimoni di speranza».

AMORE E IDENTITÀ. A quei testimoni, in una società che «ci illude prima o poi di arrivare all’uomo perfetto», è affidato il compito di ricordarci che dal travaglio, spesso, fiorisce la vera bellezza. Barlumi come quello del fiocco azzurro di Enea, un bimbo appena nato all’interno di un palazzo che regista un’età media di circa 60 anni, in un’Italia che sta affrontando un inverno delle nascite mai così grave dall’Unità. O come quelli che arrivano dal carcere Opera, in cui le mani dei detenuti, un tempo macchiate di sangue, producono le ostie per le celebrazioni. «Quando la settimana scorsa ho presentato questo libro in un carcere – svela Paolucci – uno dei detenuti mi ha raccontato di come attraverso lo studio avesse trovato nuovamente la stima di sé. Mi ha fatto capire che anche in carcere la vita potesse prendere una dimensione nuova. E poi mi ha detto una frase che mi ha colpito molto: “noi diventiamo come siamo amati”. La nostra vita si trasforma nella misura dell’amore che riceviamo».

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