Cinquant’anni dopo le contestazioni studentesche, il bilancio del docente dell’Università di Catania: «Delle idee sessantottine non è rimasto quasi nulla, ma è scomparsa la figura del barone, e il corpo docente generalmente conta poco ed è sostanzialmente ignorato dal potere politico e da quello sindacale»

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]N[/dropcap]ella notte tra mercoledì 28 e giovedì 29 febbraio 1968 il Palazzo Centrale di piazza Università a Catania fu occupato da una ventina di studenti di sinistra. Seguirono otto giorni di coraggio e passione nell’opporsi apertamente a un certo vergognoso strapotere baronale. Fu democraticamente eletto un “comitato d’agitazione” composto da Franco Amata, Lea D’Antone, Franco De Grazia, Gianni Famoso e Antonio Pioletti». Fra i nomi degli studenti coinvolti nelle contestazioni sessantottine a Catania, probabilmente, più di un allievo dell’Università di Catania riconoscerà oggi quelli di alcuni docenti. Ma cinquant’anni dopo le proteste studentesche, quale chiave di lettura adottare per comprendere quel periodo storico? Ne abbiamo parlato col prof. Giuseppe Pezzino, già docente dell’Università di Catania, all’epoca anch’egli studente dell’ateneo catanese.

Prof. Pezzino, cosa ricorda della contestazione studentesca?
«La contestazione giovanile mirava alla libertà rispetto a vincoli accademici asfissianti, a metodologie sclerotizzate, a vere e proprie prepotenze esercitate da certi cattedratici. Mi fermo un attimo, su casi scandalosi e non rari della nostra Catania: per presentarsi a un certo esame i poveri studenti erano costretti a comprare ed esibire il pacco delle opere del docente. Prepotenze esercitate alla luce del sole, nell’indifferenza delle autorità accademiche e nella rassegnazione degli studenti. Per questo una ventina di studenti di sinistra decisero di occupare l’università. Ne cito alcuni a memoria: Cesare Cavadi, Miriam e Natalia Campanella, Sara Gentile, Teresa Cantaro, Silvana Cirrone, Salvo Di Fazio».

Non irrilevante, quindi, la partecipazione femminile.
«Non irrilevante e molto importante. Già prima del Sessantotto la componente femminile a Catania era particolarmente attiva e qualificata nelle avanguardie studentesche».

Quale fu il rapporto fra la contestazione giovanile e il corpo accademico?
«Inizialmente il potere accademico catanese, dal rettore Sanfilippo al Senato Accademico, espresse una netta condanna e si arroccò in una miope politica di restaurazione e di difesa dell’ordine. Nella maggioranza dei professori si ebbe un misto di conservatorismo, di paura, di ricerca di accordi con alcuni studenti. D’altronde, visto il massacro a cui fu sottoposto Carmelo Ottaviano, forse unico professore che s’illuse di combattere il nuovo che avanzava e che metteva in pericolo il suo immenso potere baronale, molti docenti si eclissarono».

Ma i professori che aderirono alla contestazione?
«Ne ricordo solo due: Carlo Muscetta e Mario Mazza. Ricordo ancora un’affollata e accaldata assemblea studentesca in cui Muscetta, ormai rapito da eroico furore, prese la parola per dire che gli studenti dovevano andare in cattedra, mentre i professori dovevano tornare umilmente fra i banchi. Seguì un boato di consenso».

L’articolo de “La Sicilia” del 29/02/1968 sull’occupazione di Palazzo Centrale

E Giarrizzo? Non era vicino agli studenti?
«Fra lui e gli studenti in assemblea non ci fu mai una sostanziale concordanza. Per nulla passionale, prudente equilibrista, socialista fondamentalmente moderato, troppo preso da tessiture che gli dovevano garantire la presidenza della Facoltà assieme al buon vicinato col Senato Accademico, Giarrizzo ebbe un rapporto “dialettico” con gli studenti della contestazione e uscì sempre sconfitto nel confronto con l’assemblea. Addirittura, qualcuno degli studenti lo accusò di portare in sé il peccato di quel vecchio socialismo che aveva sventolato il vessillo del “né aderire né sabotare”. Ad ogni modo, una volta messo in ombra il vecchio potere baronale che contava su uomini come Cataudella e Ottaviano, tutti andarono a fare i conti con il giovane preside Giarrizzo, che per più di trent’anni (dal 1968 al 1999) terrà incontrastato la presidenza della Facoltà di Lettere e Filosofia a Catania».

Cosa rimane oggi del Sessantotto all’interno dell’università oggi?
«Dei sogni, delle fantasie, delle idee sessantottine non è rimasto quasi nulla. Certamente è scomparsa la figura del barone, e il corpo docente generalmente conta poco ed è sostanzialmente ignorato dal potere politico e da quello sindacale. Basti pensare che oggi i rettori italiani sono stati classificati, impunemente e impudicamente, come i “datori di lavoro” dei professori universitari. Il corpo cadente e sofferente della scuola e dell’università è ormai in preda e in ostaggio di un mortale processo di burocratizzazione che parte dal Ministero e arriva sino alle aule».

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