Doveva essere un’occasione per aiutare i giovani studenti a muovere i primi passi nel mondo del lavoro, ma per alcuni di loro si è rivelato un fallimento. «Nella maggior parte dei casi colmiamo la mancanza di personale nelle aziende, limitandoci a offrire manodopera a costo zero, poco inerente al nostro percorso di studio»

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]L[/dropcap]’alternanza scuola-lavoro? È quanto di più distante possa esserci dal lavoro stesso». Mattia e Francesco sono due maturandi di un istituto di istruzione superiore catanese. Per loro, che hanno già qualche esperienza lavorativa alle proprie spalle, l’Alternanza è stata una grande delusione. «La mancanza di scadenze fisse e di controllo regolare da parte dei tutor – spiegano – fanno sì che ad assumersi il carico da portare a termine il lavoro siano solo i più volenterosi. Spesso, poi, gli enti ci affidano mansioni precedentemente svolte da giovani retribuiti».
A partire dall’anno scolastico 2015/2016 l’alternanza scuola-lavoro è diventata un obbligo per tutti gli istituti d’istruzione superiore. La legge, infatti, impone agli studenti del triennio (terze, quarte e quinte) di svolgere un tot di ore (200 ore per i licei e 400 per gli istituti tecnici) presso enti e aziende convenzionate al fine di colmare il gap tra scuola e mondo del lavoro. Ma qual è lo stato dell’arte di questa esperienza? E in che modo è realmente vissuta dai ragazzi?

LE IMPRESE SIMULATE. Uno dei problemi che da subito si sono creati all’indomani dell’entrata in vigore della Riforma, riguarda il gap tra Settentrione e Meridione d’Italia. La concentrazione di aziende al Nord spesso si è tradotta nell’adozione nell’isola di progetti d’impresa simulata. «Durante il nostro terzo anno a scuola – raccontano ancora Mattia e Francesco – abbiamo preso parte a un progetto di questo tipo. Ci è stato affidato il compito di simulare la creazione di un’azienda che offrisse un prodotto e un servizio utili. Nonostante le molte proposte avanzate da noi ragazzi, però, il nostro tutor scolastico ci ha imposto la sua idea, che alla fine non si è rivelata vincente».

INERENZA AI CORSI DI STUDIO E COORDINAZIONE. Durante il loro quarto anno a scuola, Mattia e Francesco hanno avuto la possibilità di accumulare ore con due progetti: il primo consisteva nella digitalizzazione e archiviazione di lettere di richiedenti sussidi durante la Seconda Guerra Mondiale. Un’idea interessante, se solo l’argomento non fosse previsto nel loro piano di studi dell’anno succesivo (costringendo l’insegnante di storia a fornire una sommaria e rapida “anticipazione” del programma). Il secondo progetto prevedeva una serie di lezioni di economia tenute da docenti provenienti da tutt’Italia. «Ciò che mancava – raccontano ancora i ragazzi – era la coordinazione tra i docenti. Il risultato? Molti hanno ripetuto ex novo gli stessi argomenti. E dire che l’economia non rientra nemmeno tra le nostre materie di studio». Giunti al quinto anno, agli studenti è stato proposto di seguire un corso organizzato da un’azienda informatica, che tuttavia si è rivelato inadatto al loro profilo, che avrebbe beneficiato maggiormente di un corso avanzato.

I BOCCIATI E L’ALTERNANZA. Quali sono i paradossi di questo sistema? Lucia, studentessa di quinto anno, mette in luce un altro aspetto. «Essendo stata bocciata in quarta – racconta – proprio quando sono state imposte le ore di alternanza obbligatorie, mi sono ritrovata a doverle svolgere in due anni invece di tre e adesso, con la maturità agli sgoccioli, non le ho ancora completate. Trovare il tempo per studiare per gli esami e lavorare non è facile». Anche il progetto a lei assegnato è stato ritenuto dalla giovane poco dignitoso: «Avrei dovuto fare da giudice in alcune competizioni sportive presso un ente, ma in realtà mi sono sentita umiliata: mentre altri miei coetanei gareggiavano io mi trovavo a togliere l’immondizia dai cestini».

TIROCINI O MANODOPERA GRATUITA? Presso lo stesso ente ha svolto le ore di alternanza anche Alessandro: «L’impressione che ho avuto, è che le aziende stiano colmando la carenza di personale sfruttando il nostro lavoro gratuito. A me, ad esempio, è stato chiesto di svolgere attività da manutentore». Le conseguenze? «Siamo costretti a spendere in questo modo troppe ore delle nostre giornate, facciamo persino straordinari non riconosciuti riducendo la nostra pausa pranzo e non abbiamo tempo per studiare».

IL PUNTO DI VISTA DEI DOCENTI. Nonostante l’impegno delle scuole, spesso trovare enti disposti a collaborare con docenti e studenti è piuttosto difficoltoso. «Al Sud – spiega Lucia Andreano, docente presso un istituto tecnico – le aziende sono già numericamente inferiori rispetto al nord e questo rende difficile rintracciarne molte disposte ad accogliere i nostri studenti». Nelle scuole un referente è incaricato di mettersi in contatto con le aziende per stabilire delle collaborazioni, ma in realtà tutti cercano agganci possibili: in questo modo il carico lavorativo dei docenti aumenta notevolmente, senza considerare che gli stessi devono fungere da tutor per i loro alunni.

TUTOR A COSTO ZERO.«Il numero di ore in cui noi docenti dobbiamo occuparci di organizzare queste attività – spiega ancora la professoressa – rientra nel novero delle ore didattiche, quindi siamo costretti a correre per portare a termine i programmi scolastici e non sempre raggiungiamo risultati positivi. Inoltre, come noi insegnanti svolgiamo più lavoro a costo zero, così anche i tutor aziendali che devono assistere gli studenti nelle ore lavorative non ricevono nulla, cosa che rende ancora più ardua la ricerca di imprese pronte ad accogliere ragazzi privi di esperienza che rischierebbero di rallentare il loro lavoro».

MIGLIORARE? È POSSIBILE. Naturalmente non tutte le esperienze di Alternanza sono da considerarsi un fallimento. «Questi giovani – conclude la prof Andreano – non sono gli operai di domani, ma i tecnici, quindi devono sapere come gestire un’azienda e prevederne gli sviluppi. Esperimenti come le imprese simulate consentono loro di lavorare “attivamente”. Le convenzioni con enti privati, poi, spesso portano risultati incoraggianti». Da parte dei ragazzi, infine, il sentimento non è di condanna, ma di speranza: «Siamo solo all’inizio di questo progetto, non bisogna già condannarlo e viverlo solo come un accumulo di ore, ma migliorarlo. Come? Ampliando il vaglio delle offerte, facendo proposte inerenti ai nostri corso di studi».


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