L’opera di Mario Garuti su testo di Armando Lazzaroni ripercorre la vita della Santa catanese

Ogni anno a febbraio la città di Catania risplende di nuovi colori e profumi, il tempo sembra stranamente dilatarsi mentre tutto intorno è un brulicare intenso di celebrazioni in onore di Sant’Aituzza, come affettuosamente i catanesi chiamano la loro patrona, quasi a voler creare un legame tra la dimensione spirituale e quella terrena. L’orgoglio con cui tutta la città ne rievoca il martirio interessa da sempre anche il mondo della musica e difatti è andato in scena al Teatro Massimo Bellini l’immancabile concerto in onore della Santa.

UNA PRIMA ASSOLUTA. “Lucenti Aita” è stata la prima esecuzione assoluta dell’opera di Mario Garuti su testo di Armando Lazzaroni; il compositore modenese ha realizzato per l’occasione dieci stanze per voce solista, coro e orchestra, inframmezzandole con il vivo racconto dell’attore Ezio Donato, il quale ha dato un’espressività particolare alla vicenda. Ciascuna composizione presentava un tema ben preciso nel quale si rievocavano i punti nodali del sacrificio della Vergine dagli inizi fino all’ascesa in Cielo. Uno spettacolo completo dove la musica è stata indubbiamente la protagonista, con l’orchestra del Bellini al gran completo che dominava sul palcoscenico mentre il coro faceva da sfondo. Lontano dagli schemi classici e noto per le sue composizioni, Garuti ha regalato al numeroso pubblico sonorità raffinate e al contempo innovative, calibrando l’uso degli archi, dei fiati e delle percussioni, in un crescendo nervoso sfociato nella quiete finale. All’iniziale sovrapposizione tra coro e voce narrante, dall’effetto discorde, è seguito un meccanismo perfettamente funzionante.

L’ESECUZIONE. L’eccellente compagine musicale è stata diretta dall’appassionata e incisiva bacchetta del Maestro Gennaro Cappabianca, il quale ha guidato con fermezza cantanti e musicisti. Gli artisti del coro, diretti da Gea Garatti Ansini, hanno offerto momenti di grande spessore musicale, in cui il suono era perfettamente all’unisono e il botta-risposta tra le varie sezioni era pulito (con qualche difficoltà di comprensione del testo in alcuni passaggi, che ha costretto gli spettatori alla lettura del libretto). Piacevole anche se totalmente inaspettata l’esecuzione del soprano Beatrice Binda, la quale ha eseguito i brani con un’impronta vicina al canto jazzistico introducendo in alcuni passaggi quello lirico. Fasciata in un sobrio abito beige con delicati fiori rosa antico e larghe foglie verdi, Binda ha fornito una prova di una grande ecletticità, mantenendo l’impostazione per tutta la durata del concerto e facendo sfoggio di una voce dal colore brunito ma comunque leggera negli acuti.

LA REGIA. A completare il ricco quadro, una carrellata di dipinti raffiguranti il patimento della giovane Agata, proiettati sul fondale, tra i quali ricordiamo quelli di Guido Cagnacci, Giovanni Lanfranco, Elisabetta Sirani e per finire l’immancabile busto reliquario, che hanno reso la scena ancora più dinamica. La regia di Donato, pulita e minimale, ha lasciato spazio alla riflessione proprio sotto finale, rimandando a un tema purtroppo caro all’attualità, quello del femminicidio, ravvisabile in queste parole: «un odio così forte non perché lei fosse cristiana, ma perché non voleva accettare il mio amore».

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