Il pittore cremonese parla dello scenario artistico catanese: «Fin quando in città c’era sviluppo industriale l’arte è andata di pari passo, ma non si può fare cultura senza crescita economica»

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]C[/dropcap]atania sta vivendo una profonda crisi artistica che riflette la situazione nazionale e va a braccetto con quella economica: si avviano delle iniziative che stanno in piedi qualche anno – a volte perfino qualche mese – e poi scompaiono». È questa la denuncia del pittore cremonese Remo Gerevini. L’artista, che vive in Sicilia dai primi anni ’50, presto si è integrato nel vivace mondo culturale etneo ricoprendo ruoli come quello di preside all’Accademia di Belle Arti di Catania, partecipando al gruppo “Sicilia-Arte” e promuovendo la “Galleria Borgo”.

LA CITTÀ. «Quando si parla di arte a Catania – spiega l’artista – bisogna partire da alcuni episodi chiave. Si veda ad esempio la vicenda del museo “Emilio Greco”, inaugurato nel 1994, chiuso pochi anni dopo e riaperto solo nel 2009». Oggi questa struttura versa in condizioni disastrose, collocato com’è nelle stesse sale che ospitano il museo belliniano. «In città ci sono alcuni miei dipinti e di altri artisti catanesi sparpagliati tra i diversi uffici comunali. Sono opere donate in vista della creazione di una Galleria d’arte moderna che doveva sorgere nell’antica manifattura tabacchi, in un grandissimo complesso fra via Garibaldi e via Plebiscito. Sono passati ormai decenni ma il sito è ancora vuoto». A generare questa situazione, secondo Gerevini è stata una politica poco lungimirante associata agli effetti della crisi economica. «In una città in cui non circola denaro – prosegue – non possono proliferare quelle attività che pur non essendo strettamente connesse all’economia ne hanno bisogno per sopravvivere. In questo momento non ci sono più gallerie importanti e quelle poche che ancora resistono sono veramente ridottissime anche dal punto di vista dello spazio fruibile».

UN PROBLEMA DIFFUSO. «Nel periodo in cui ho vissuto a Roma – racconta ancora – la città era in pieno fermento, ma da qualche anno le cose sono cambiate. Perfino una galleria importante come la “Don Chisciotte” vende giocattoli antichi e non si occupa più di pittura e scultura. A resistere sono solo quelle che hanno un aggancio internazionale». Non migliore lo scenario dei grandi eventi. «Spostandoci nelle Marche, sono scomparse manifestazioni come la triennale dell’Adriatico che si teneva a Pesaro e ad Ancona e il circuito artistico si arresta all’Emilia-Romagna».

“Aci e Galatea” viste da Remo Gerevini

LA RAGGIANTE CATANIA. Come si è arrivati allo scenario attuale? Catania tra gli anni ’50 e ’60 ha vissuto un gran fermento e ascoltando la descrizione che ne fa il pittore si ha l’impressione di essere catapultati in un’atmosfera onirica e fantastica, non dissimile da quella che anima le creature mitologiche dei suoi dipinti. «Allora Catania era una città molto viva culturalmente, anche più di Palermo. Questa situazione è perdurata fin quando la città è stata la “Milano del Sud” e ha basato la sua crescita sull’espansione della zona industriale, polo d’attrazione anche per gli imprenditori settentrionali». Negli anni ’70, tuttavia, la crescita economica si arresta rapidamente, offrendo sempre meno possibilità ai suoi artisti.

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