«In ogni nuova esperienza cerco sempre di portare con me il bagaglio interiore che costruito negli anni: lo studio, l’esperienza, il palcoscenico condiviso con i grandi dai quali ho imparato molto». Cinema e teatro sono diventanti negli anni facce della stessa medaglia per Rita Abela, che muove i primi passi d’attrice al teatro greco di Siracusa, sua città natale, prima di arrivare davanti alla macchina da presa. Un talento, il suo, cresciuto all’ombra di nomi come Micaela Esdra, Walter Pagliaro, Roberto Andò, Leo Gullotta, Moni Ovadia e tanto brava da convincere Michela Giraud ad affidarle il ruolo da co-protagonista in “Flaminia”, pellicola che segna l’esordio alla regia della stand-up comedian romana. Il film, nelle sale dall’11 aprile, la vede interpretare Ludovica, un personaggio senza troppe sovrastrutture e realmente ispirato alla sorella autistica della Giraud.

Lei non è per nulla nuova a vestire panni di personaggi fuori dagli schemi, penso a Matilde nel cortometraggio “Big”. Come si è preparata a questo ruolo?
«Innanzitutto, ho cercato di entrare nella storia in punta di piedi per via del trascorso personale di Michela, ma ho anche studiato tanto, cosa che faccio abitualmente e che in questo caso mi ha permesso di comprendere meglio i disturbi dello spettro autistico. Ludovica, in particolare è affetta da autismo ad alto funzionamento, quindi non presenta una neurodivergenza intellettiva ma ha comunque dei comportamenti stereotipati. Successivamente, mi sono concentrata sulle richieste fisiche curando la camminata, le movenze, la gestualità delle mani, le routine della parola come la prosodia monotono o le continue ripetizioni. Tutto ciò ha richiesto tempo e devo dire che a differenza di quanto accade normalmente abbiamo provato molto e con un’attenzione tale difficile da trovare al cinema. L’obiettivo era approfondire il rapporto fra queste due sorelle anche perché il desiderio primario di Michela era quello di far risultare autentico il legame. Ludovica è un personaggio, poi, che si porta dietro uno sguardo di disincanto, questo ha fatto sì che aprissi la porta del mio cuore e attingessi al mio vissuto senza riserve».

Oltre a raccontare della diversità percettiva, “Flaminia” parla anche tanto di diversità fisica. Anche lei ha una fisicità spesso poco rappresentata sul grande schermo, specialmente in un ruolo da protagonista. Cosa ha significato vestire i panni di Ludovica?
«Sono molto grata a Michela per aver messo nelle mie mani qualcosa di tanto prezioso per la sua vita ma soprattutto la ringrazio per aver scritto una storia che parla anche di un corpo non conforme. Molte volte nella vita come anche nel lavoro mi sono sentita diversa. Il cinema, ad esempio, non offre molti ruoli per fisicità fuori dagli schemi e nei pochi casi in cui accade si ricerca comunque una rotondità accettata, proprio perché non si vuole rischiare. È successo anche a Michela, stanca di interpretare sempre l’amica simpatica alla fine ha deciso di scrivere e dirigere un film».

Eppure, oggi si parla molto di body positivity e di inclusione.
«Estetica viene dal greco e significa sentire, quindi la bellezza è qualcosa che percepiamo, anche se ormai abbiamo svuotata il termine di questo significato ingabbiandolo piuttosto in canoni inarrivabili che creano frustrazione. Le physique du rôle è sempre esistito, il problema si pone quando diventa l’unico termine di paragone. Se è vero infatti che cinema e TV sono lo specchio della platea allora forse è giusto che si inizi a considerare spettatori meno standardizzati ma reali. La peculiarità di noi esseri umani è che siamo tutti diversi e non replicabili; pensare, sentire, parlare per ciascuno di noi ha radici profonde, nell’infanzia, nella famiglia d’origine, nelle frequentazioni e nei i fattori ambientali ecco perché dovremmo fare tesoro di questa nostra eccezionalità».

A differenza del cinema e della tv, sui social a tutti è data la possibilità di raccontarsi. Possono quindi aiutarci ad abbracciare la diversità?
«Sì, anche se possono essere lame estremamente taglienti, per certi versi hanno dato la possibilità a molte persone di condividere il loro vissuto. Mi è rimasto impresso il commento a uno degli ultimi reel sulla pagina del film nel quale una ragazza scriveva “in fondo siamo un po’ tutti Ludovica” e, a ben pensare, il mio è un personaggio che non ha timore di mostrare le proprie fragilità. Forse la spaventano, come anche il giudizio degli altri, ma non ha paura di raccontarle».

Lei invece che rapporto ha con il suo alter ego digitale?
«Sono una persona estremamente riservata per cui tendo molto a tutelare il mio privato. A volte, però, mi piace condividere stati d’animo, sensazioni legate ad un percorso personale o a mancanze, ad esempio per celebrare qualcuno che non c’è più, come la foto che ho postato di recente con il mio papà. Per il resto non sono avvezza a condividere la mia quotidianità».

Oltre a lei e Michela nel cast ci sono tanti nomi televisivi e teatrali , da Antonello Fassari a Lucrezia Lante della Rovere e Nina Soldano. Qual era il clima sul set?
«Michela sul set ha creato un’atmosfera unica, è stato bello incontrare umanità così diverse ma anche così profonde. Ci siamo divertiti, emozionati e ciascuno è stato un incontro speciale ecco perché questo lavoro è un piccolo diamante incastonato nel mio cuore».

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