Tutti si lamentano dei limiti di velocità. Eppure, numeri alla mano, il traffico ce li impone già
Molte preoccupazioni e molta polemica in questi giorni per i paventati limiti di velocità nella città di Catania, e in special modo sulla circonvallazione, dove l’incidente di pochi mesi addietro, che è costato la vita ad una delle studentesse del nostro Ateneo, mentre attraversava proprio questa strada, ha rinfocolato il dibattito, non solo sulla sicurezza stradale e sui relativi controlli ma anche sulla questione dei limiti di velocità urbani. La questione, come è noto, è se utilizzare, almeno in certe aree urbane, un limite di 30 km orari a fronte dei 50 km orari esistenti. Smentite da parte dell’amministrazione comunale circa l’immediatezza del provvedimento, che comunque verrebbe introdotto in tempi non lontani, proteste da parte di una certa frazione di automobilisti, che vedono questo limite come troppo restrittivo per una normale circolazione.
Nessuno, certamente, desidera che si possa andare anche a 80-100 km orari su questa o su altre strade cittadine, come purtroppo talvolta capita di osservare in orari serali, ma ci si può chiedere da un lato se il limite di 30 km orari rappresenti realmente una forte limitazione della propria libertà di movimento stradale e dall’altro lato se passare da 50 km/h a 30 km/h costituirebbe un vantaggio reale in termini di sicurezza. Proviamo ad analizzare sinteticamente il problema da un punto di vista scientifico, facendo delle semplici considerazioni in base alle leggi che tutti abbiamo studiato a scuola.
Sulla seconda questione, la risposta è certamente positiva: il traffico a 30 km/h riduce in modo consistente la possibilità di incidenti seri alle persone, in particolare a pedoni e ciclisti. Nonostante la riduzione della velocità da 50 a 30, dunque ad una velocità che rappresenta il 60% di quella originaria, l’energia in gioco si riduce infatti al 36% circa di quella originaria. Il motivo? Sta nella semplice definizione di energia cinetica, cioè l’energia di movimento di un corpo, che è proporzionale al quadrato della velocità. Passando da 50 a 30 km/h abbiamo ridotto in altri termini quasi del 70% l’energia in gioco in una possibile collisione.
Consideriamo anche un altro aspetto, quello relativo allo spazio di arresto, cioè alla distanza percorsa dal momento in cui il guidatore avverte un possibile pericolo. Anche questo spazio non si riduce proporzionalmente con la velocità, ma decresce più rapidamente. In prima approssimazione, anche tenendo conto del tempo di reazione umano, se a 50 km/h si percorrono 25 metri prima di arrestare il veicolo, a 30 km/h se ne percorrono poco meno di 10. Questo riduce di molto la probabilità di investire un pedone o un ciclista avvistato a breve distanza dal veicolo.
Tralasciamo qui le considerazioni riguardanti l’abbattimento del rumore e delle emissioni di CO2, cioè dell’inquinamento acustico e da gas nocivi, che anch’esse darebbero ragione ai sostenitori della velocità ridotta e alla transizione verso le città a 30 all’ora.
E per quanto riguarda i tempi di percorrenza stradali ad una velocità ridotta? Il timore di dover impiegare molto più tempo a fare il nostro percorso, nell’opinione di molti sembra l’argomento principale a sostegno della velocità di 50 km/h. Ma è così? Consideriamo un tipico percorso cittadino di 4 km, ad esempio quello corrispondente al tratto di circonvallazione tra Ognina e la Cittadella Universitaria. A 30 km/h la fisica ci insegna che dovremmo idealmente impiegare un tempo di 8 minuti, mentre a 50 km/h un tempo di poco meno di 5 minuti, quindi risparmieremmo – sempre idealmente – 3 minuti se i limiti restassero fermi a 50 km/h. Idealmente, appunto, come sa chiunque faccia questo percorso durante le ore del giorno: tra ingorghi e semafori, il tempo effettivo di percorrenza può andare dai 15 minuti (quando la vita ci sorride) a oltre un’ora (quando mettiamo in conto di fare inversione di marcia e tornare indietro, strategia assolutamente inutile perché ci accorgiamo subito che la strada è intasata anche nella direzione contraria). A che velocità media ci siamo mossi realmente? Nei giorni felici, quando abbiamo impiegato 15 minuti, ad una velocità di 16 km/h; nella peggiore delle ipotesi, quando abbiamo impiegato un’ora, ad una velocità per l’appunto di 4 km/h.
Insomma, noi ci muoviamo in città, già da lungo tempo, a velocità medie che stanno ben al di sotto dei 30 km orari, almeno per tutto l’arco della giornata lavorativa. Solo all’alba, o la notte, o in certi giorni festivi (e non sempre) avviene di poter muoversi più rapidamente, ed è proprio in quei casi che la velocità andrebbe regolamentata al ribasso. Magari potessimo muoverci sempre ad una velocità media di 30 km/h! Questo richiederebbe niente code o ingorghi, semafori talmente intelligenti da trovarli sempre verdi al nostro passaggio, rotatorie deserte: situazioni che difficilmente troveremo, neppure nei sogni più rosei. Qual è la questione dunque? Ancora una volta, non confondere due concetti che il premio Nobel Richard Feynman spiegava negli anni ’60 nel suo corso introduttivo di fisica, facendo esattamente l’esempio del moto automobilistico: il concetto di velocità istantanea (per il quale l’automobilista era passibile di multa, secondo il poliziotto di turno) e il concetto di velocità media (con il quale l’automobilista tentava di difendersi dai rilievi del poliziotto). La velocità istantanea, nella nostra città, potrà magari essere superiore a 30 km/h per qualche secondo, dandoci l’impressione di poter “volare” in quel breve lasso di tempo, ma la velocità media, quella che alla fine determina il reale tempo di percorrenza, ci riporterà inesorabilmente a valori che stanno molto al di sotto dei temuti 30 km all’ora. Ricordiamoci però, con Feynman, che le multe si prendono in base alla velocità istantanea e non alla velocità media.