Valentina Marino: una siciliana sulle strade del jazz a Manhattan
Da Mazara del Vallo a New York, attraverso Roma, Londra e Vienna. Una laurea in legge lasciata nel cassetto da dove ha tirato fuori il suo sogno da bambina: la musica. Oggi, cantante, compositrice, arrangiatrice, è una musicista a trecentosessanta gradi che mette insieme Joni Mitchell e Abbey Lincoln, Bob Dylan e Sarah Vaughan. Un disco di cover prima di mettere in musica appunti, visioni e sogni di una vita nell’imminente album “East 75th”
“Ho ricordi e viaggio come una zingara nella notte / … / è solo il posto che cambia, il resto è ancora lo stesso” canta Alice Merton in No Roots. Una canzone nella quale Valentina Marino si rispecchia così tanto da inserirla nel disco registrato durante il periodo di quarantena, intitolato, appunto, Quarantine Covers. «Mi sento come in quella canzone: no roots, senza radici. La mia casa non è mai stata sulla terra ferma. Non ho attaccamenti particolari a un posto, a una città, a un Paese. Le origini sono dentro di noi, non fuori, in un contenitore geografico. Non ne sento il bisogno. So di essere diversa in questo da molti altri. Le radici sono dove le nostre gambe si appoggiano e ci sostengono, nel continuo cambiare delle storie e dei cicli della vita».
Dalla Sicilia comincia il viaggio di Valentina Marino, cantante jazz, compositrice, arrangiatrice, musicista a trecentosessanta gradi che oggi vive all’ombra dei grattacieli della Grande Mela. Mazara del Vallo, per la precisione, è il porto di partenza. «Mi sono trasferita a Roma quando ero letteralmente in fasce. Io miei lavoravano nella capitale», racconta. «A Mazara sono tornata per frequentare il liceo e tornavo ogni estate». Ma è a Roma che si forma come pianista, classica inizialmente, jazz poi: «Mio padre mi faceva ascoltare Louis Armstrong». Ed è nella capitale che consegue la laurea in giurisprudenza, esaudendo il desiderio dei genitori. «Un pezzo di carta è sempre importante nella vita».
«Sono una cantante e una cantautrice. Sono e sono sempre stata una musicista, una musicofila e una musico-dipendente»
Con quel “pezzo di carta” Valentina comincia una brillante carriera di avvocatessa in uno studio legale internazionale con uffici a Roma e Milano, per poi andare a occuparsi delle questioni legali della Confindustria capitolina. Nel frattempo, si iscrive all’Università della musica. «Non ho mai sentito la vocazione per l’avvocatura, né per la vita negli uffici o nelle istituzioni accademiche. Avrei potuto seguire quel percorso intrapreso in origine per compiacere la mia famiglia, ma poi il grido dentro di me è esploso. E mi sono ribellata. Contro me stessa. Per essermi incastrata da sola dentro una bolla che mi impediva di essere chi realmente sono. Sono una cantante e una cantautrice. Sono e sono sempre stata una musicista, una musicofila e una musico-dipendente».
La bolla scoppia mentre si trova a Londra. «Lì di giorno lavoravo presso uno studio legale e di sera cantavo». Il richiamo della Swingin’ London è irresistibile, così Valentina mette nel cassetto una laurea e un lavoro prestigioso, e si dedica alla sua vera passione: la musica. Questa scelta radicale porta la ragazza siciliana a cambiare nuovamente città. Dopo Roma e Londra, è la volta di un’altra capitale: Vienna.
«La mia vocal coach a Vienna mi consigliò di trasferirmi a New York. Tre settimane dopo ero a Manhattan. Da sola, con il mio quadernino e le cuffiette, sempre a prendere appunti, a buttare giù sogni e visioni»
«Mi sono ritrovata a Vienna per una serie di coincidenze e di opportunità. Non per caso. Si trova sempre quello che si cerca. E se non si trova subito, si continua a cercare», prosegue nel ricostruire il suo viaggio. «A Vienna ho messo su i miei primi progetti jazzistici e le prime band. Ho avuto modo di collaborare con musicisti meravigliosi e di esibirmi in numerosi locali a Vienna e in altre città dell’Austria. Gli austriaci hanno una fascinazione incredibile per il jazz. E per gli italiani. Per me, si è trattato del connubio perfetto. A Vienna ho conosciuto la mia vocal coach e mentore, Heidi Eiselberg, che una mattina d’improvviso mi ha detto: “Penso che tu debba trasferirti a New York, Vienna è troppo piccola ed è la culla della musica classica. Per te ci vuole la Grande Mela adesso. È il tuo momento”. Tre settimane dopo ero a Manhattan. Da sola, col mio quadernino e le cuffiette, sempre a prendere appunti, buttare giù sogni e visioni, mentre ascoltavo Ella, Abbey, Billy e Sarah, a ripetizione sulla mia playlist jazz di iTunes».
Aveva ragione la sua vocal coach austriaca: a New York Valentina Marino trova il suo mondo. Tre mesi dopo supera l’audizione alla New School for Jazz and Contemporary Music, conseguendo il BFA (Bachelor of Fine Arts), sorta di corso di laurea in vocal jazz performance. Comincia così un nuovo capitolo. Che prosegue da 11 anni, durante i quali l’artista si esibisce in lungo e largo per tutto il Paese e incide diversi dischi: «Jazz Canvas è stato il primo, poi In the Name of Love, con l’etichetta discografica americana Jazzheads, e il singolo The Peacocks, a timeless place, col testo capolavoro lirico di Norma Winstone. Un altro singolo a seguire, Three little birds, mio omaggio sperimentale a Bob Marley, in cui uso solo la voce, creando un effetto looper che trasforma il sovrapporsi dei diversi strati vocali in una sorta di piccola orchestra».
Per Natale ha raccolto nell’album Quarantine Covers tutte le canzoni del cuore che le hanno fatto compagnia nei suoi viaggi e, in particolare, in questo periodo di clausura per l’emergenza pandemia. Con voce calda e vellutata affronta Leonard Cohen, Bob Dylan, Joni Mitchell, autori che ha talmente amato da interiorizzare e fare sue canzoni come Dance Me to the End of Love, Gotta Serve Somebody, River, delle quali offre delle interpretazioni da brivido. «Le scelte sono orientate più verso la canzone d’autore, il folk e il pop», spiega l’artista mazarese. «Questo album rappresenta la mia transizione dal jazz alla musica popolare. Ho voluto creare una sequenza nella trama e raccontare l’amore nei suoi cicli di morte e rinascita. Metaforicamente, questi sono anche i cicli della vita in genere e di questa particolare fase che stiamo attraversando. Il mio augurio è che la vita possa ricominciare più pulsante e briosa di prima, dopo questo terribile capitolo di tristezze e di separazioni».
Da zingara notturna a zingara musicale. Dal girovagare in cerca di una terra promessa al viaggiare tra stili e generi musicali. Fra i quali può capitare anche di trovare una torrida versione country-blues della battistiana Il tempo di morire. Perché, alla fine, le origini è difficile dimenticarle.
«Durante una recente serata, mi hanno chiesto di cantare in siciliano e ho improvvisato una versione swing di Vitti ‘na crozza. Una canzone che mi ha sempre emozionato. Vedi, anche senza radici, sono siciliana anche io…»
«Durante una recente meravigliosa serata trascorsa in un loft di Tribeca, mi hanno chiesto di cantare in siciliano e ho improvvisato col pianista una versione inedita in swing di Vitti ‘na crozza. Una canzone che mi ha sempre fatto venire la pelle d’oca per quanto mi emoziona. Un altro pezzo che mi ha sempre fatto impazzire per la sua ironia è Quant’è laria la me zita. Vedi, forse anche se senza radici, in fondo sono siciliana anche io… La sicilianità è in me, nella mia personalità, per alcuni tratti, quelli della caparbietà, della determinazione, dello spirito combattivo e di adattamento. Lo stesso posso dire della mia romanità. Però non mi sento radicata in Sicilia, né a Roma né in nessun altro posto del mondo».
A New York forse un po’ sì, se da undici anni non ha ancora smontato la sua tenda. Nella Grande Mela ha trovato quello che in Italia non ha trovato. Nella città che non va a dormire mai, la zingara musicale che non sta mai ferma, ma è in continuo movimento, ha trovato il suo habitat naturale. E, anche in tempi di lockdown, si diverte a raccogliere attorno a sé la comunità jazz italiana per improvvisati, quanto divertenti, “live streaming”. Come il contrabbassista catanese Marco Panascia, un vero punto di riferimento, o il pianista romano Marco Di Gennaro. Sicilia e Roma, guarda caso. E fra standard jazz, anche in queste session può capitare di ascoltare un pezzo di Natalino Otto. «Giovedì al nostro streaming di Natale con Marco Panascia potremmo fare Quant’è laria la me zita. Già gli proponevo di mettere su una base al contrabbasso per farmi fare un po’ di scat con Sasà sa’ si si susì Sasà. Vediamo cosa esce».
Intanto quel quadernino, sul quale prendeva appunti, buttava giù sogni e visioni, si è riempito, e quegli appunti, quei sogni e quelle visioni stanno per travasare su un album di inediti previsto per il 2021. «S’intitola East 75th e contiene dieci canzoni originali con testi e musiche composte da me», annuncia. «Dalle cover all’essere completamente “scoperta”, per raccontare undici anni di vita in un block della Upper East Side».